Da Reset-Dialogues on Civilizations
Con i suoi 5milioni di residenti stranieri l’Italia è il quarto Paese dell’Unione Europea per presenze di cittadinanza diversa da quella del Paese in cui vivono. Una realtà che si è andata formando sin dalla seconda metà degli anni ’70 e che, dati alla mano, non può più semplicemente definirsi “fenomeno dell’immigrazione” ma, come sottolinea l’ultimo Dossier Statistico, presentato a Roma il 29 ottobre, richiede risposte strutturate e lungimiranti.
“Dalle discriminazioni ai diritti” è il titolo del documento 2014 realizzato anche quest’anno dal Centro Studi e Ricerche Idos e da Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, proprio a evidenziare la necessità di creare politiche inclusive e antidiscriminatorie che, secondo Ermenegilda Siniscalchi, Capo Dipartimento ad interim per le Pari Opportunità, “segnano un Paese nell’essere civile o non civile”.
Un approccio pragmatico perché i cittadini non italiani residenti in Italia oggi sono una presenza permanente, nonostante le molte questioni da risolvere, una politica a tratti ancora emergenziale, luoghi comuni e timori duri a morire.
Basti pensare che l’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione totale ha raggiunto ora l’8,1% , che oltre un milione di essi è composto da minori e che sono 800mila (802.785) gli iscritti a scuola; bambini e giovani che scriveranno e leggeranno in italiano, studieranno i nostri programmi scolastici e saranno in tutto e per tutto formati come i coetanei italiani. Non solo: più di 2 milioni di famiglie (2.354.000, pari al 7,1% di tutte quelle residenti in Italia) hanno almeno un membro non italiano al proprio interno e in un quarto dei casi ciò avviene per via di cosiddetti matrimoni misti. Per farsi un’idea sarebbe interessante dare un’occhiata alle ricerche Istat sui nuovi nati per scoprire che questi cambiamenti si ritrovano ora anche all’anagrafe, nelle scelta dei nomi di figli che sono un esempio concreto di mediazione culturale. Tutto questo traccia molto chiaramente la direzione verso la quale stiamo andando.
Un fenomeno irreversibile in Italia e nel mondo
I dati parlano più delle opinioni e della politica; e i numeri calcolati dalle Nazioni Unite ci dicono che nel mondo 1 persona ogni 33 lascia il proprio Paese d’origine per sceglierne un altro come propria dimora; cifre in costante aumento se si considera che dal 1990 si è registrato un + 50% delle migrazioni e che negli ultimi 4 anni, dal 2010 cioè, si calcolano circa 3,6 milioni di migranti l’anno nel mondo. Attualmente sono in tutto più di 232 milioni che diventano 1 miliardo se si considerano anche le migrazioni interne allo stesso Stato. E fra questi ci sono anche gli italiani, circa 4 milioni e mezzo (4.482.115 stando all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), 82 mila dei quali hanno abbandonato l’Italia solo nel 2013. Uno scambio quasi equo a fronte di quei 4.922.085 (5.364.000 secondo Idos) di stranieri che, invece, hanno eletto l’Italia come seconda patria.
Ciò che emerge è che non si tratta, dunque, di fenomeni transitori, ma strutturali come dimostra anche la dimensione familiare: quest’anno infatti pur essendo diminuiti i visti di lavoro in Italia, e pur non essendo stati rinnovati più di 145mila permessi di soggiorno, gli ingressi per ricongiungimento familiare e le nuove nascite sono state 76mila e 77mila. E se si tiene conto che l’età media dei migranti è generalmente più bassa della media del resto della popolazione – in Italia circa 13 anni in meno – si comprende perché i Paesi industrializzati, caratterizzati dal rapido invecchiamento e dal declino della forza lavoro siano particolarmente debitori dell’apporto dei lavoratori immigrati che, stando all’International Labour Organization, rappresentano circa il 5% della forza lavoro mondiale.
Lo “spreco” dei cervelli e alcuni luoghi comuni
L’ultima indagine Istat sul tema dice che sono 2,4 milioni gli occupati stranieri, l’87,1% dei quali svolge lavoro dipendente nei servizi, nell’industria e in agricoltura. Lavoratori giovani che influiscono positivamente sul sistema pensionistico, ma che riflettono pienamente il rischio di cosiddetto “brain waste” tipico delle migrazioni di cultura medio alta. Si passa così dalla cosiddetta “fuga dei cervelli” allo “spreco dei cervelli” con laureati impiegati in compiti che non rispettano le competenze maturate con lo studio. Il Dossier Statistico evidenzia come ad esempio, 1 milione degli occupati stranieri, cioè il 41,1%, possegga un grado di istruzione più elevato rispetto all’attività che svolge (tra gli italiani questo dato si trasforma nel 18,5%) e come nel 2013 sia cresciuto il divario della retribuzione netta mensile percepita dagli stranieri e dagli italiani: 959 euro a fronte di 1313 euro (cioè il 27% in meno). Gli immigrati restano, però, produttori di reddito e di contributi previdenziali (nel 2012 ne hanno versati 8,9 miliardi di euro), sebbene secondo i dati dell’Idos coloro che raggiungeranno l’età pensionabile in Italia saranno nel 2020 1 su 25, a fronte di 1 su 3 degli italiani. Anche se, dall’altro lato della medaglia, ci sono le molte richieste di assistenza e di sostegno socio-previdenziale cui le famiglie con almeno un componente straniero fanno ricorso. Restando in tema di luoghi comuni è interessante notare anche i dati sui rimpatri e sulle espulsioni: 8769 nel prima caso e 13529 nel secondo, anche se come è noto le “intimazioni” di lasciare l’Italia non permettono di verificarne l’ottemperanza; questo accade quando non viene stabilito il Paese di provenienza (perché mancano i documenti e le ambasciate non sono in grado di compiere riconoscimenti). In tutto 30mila gli irregolari nel 2013, decisamente meno che nel passato; nel 2006, ad esempio, furono 124mila.
E, sempre in tema di luoghi comuni: a dispetto della sua posizione che la rende particolarmente esposta ai flussi migratori, nel 2013 in Italia sono arrivate 26mila richieste d’asilo, a fronte delle 127mila giunte in Germania. Sempre la Germania, insieme alla Gran Bretagna,si pone in cima alla lista dei Paesi europei che ha subito maggiormente il flusso migratorio interno dell’Unione a 27 con l’arrivo, solo nel 2013, di 40mila italiani. Anche se l’incidenza più alta di stranieri sulla popolazione si registra in Stati piccoli come il Lussemburgo, Cipro, Lettonia ed Estonia.
Infine, ma non ultimo, una panoramica tutta italiana sui Paesi di maggior provenienza di migranti: nell’ordine Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina, che sfatano un altro luogo comune sulla cosiddetta invasione da Africa e Medio Oriente.
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