La Repubblica: “Lavoro, nel Pd rivolta anti-Renzi. Fmi: riforma ok”. “Bersani: è da marziano modificare l’articolo 18”. “Stallo Consulta, martedì ci riprovano Violante e Bruno”. “Delude il prestito Bce, la cura Draghi non basta”.
In alto anche il referendum scozzese (nessun quotidiano è in grado di dare il risultato definitivo. Mentre scriviamo il no alla indipendenza è al 55 per cento, ndr): “Scozia, il giorno più lungo. File al voto per l’indipendenza”. “Lo scrutinio nella notte. Nei primi sondaggi no al 54 per cento”.
In prima anche la notizia dell’avviso di garanzia a Tiziano Renzi, padre di Matteo: “Bancarotta, indagato il padre del premier. ‘Mai io avevo già venduto l’azienda’. Dalla Procura di Genova avviso di garanzia a Tiziano Renzi”.
Il quotidiano offre anche una indagine demoscopica sulla tv e il calcio: “Meno stadi e più tv. Così cambia l’Italia del tifo. Nell’indagine Demos-Coop Conte superstar sconfigge razzismo e violenze”.
Il Corriere della Sera: “Il Pd si spacca sul lavoro. Sì in commissione alla legge, la sinistra del partito contro la riscrittura dell’articolo 18”. E poi: “Autoriciclaggio, allarme su un patto per indebolire le norme”.
In alto: “Voto sull’indipendenza in Scozia. Per i primi sondaggi è avanti il no”. “Affluenza record alle urne per decidere sull’addio alla Gran Bretagna”.
A centro pagina: “Il padre del premier indagato per bancarotta”. “Il crac della sua società. Lui: ‘I pm? Non dico nulla’”.
La Stampa: “Articolo 18, la rivolta nel Pd”, “La minoranza si schiera contro l’abolizione. Il premier pensa alla fiducia. Sui conti l’allarme del Fondo monetario: spesa pensionistica da rivedere”.
A questo tema è dedicato il commento in prima di Federico Geremicca: “La sfida sull’identità del partito”.
A centro pagina, il referendum in Scozia: “Murray, il baronetto ha tradito al Regina” (“in extremis il tennista-simbolo si è schierato per il sì”).
Di spalla a destra: “’Cellula Isis voleva fare strage in Australia’”, “Sgominata: 15 arresti”.
In prima anche i dati deludenti sui crediti richiesti dalle banche alla Bce (“83 miliardi di crediti a tasso agevolato contro una previsione di circa il doppio”): “Il colpo (quasi) a vuoto della Bce”, di Francesco Manacorda.
Il Sole 24 Ore: “Bce: chiesto solo 82,6 miliardi. Sotto le attese le richieste d rifinanziamento di 255 banche europee: risorse destinate a sostenere l’economia reale. La domanda più rilevante arriva dall’Italia: oltre 23 miliardi”.
Di spalla: “Il padre di Renzi indagato per bancarotta fraudolenta. ‘Ma ho venduto nel 2010′”. “Avviso di garanzia per una società fallita nel 2013”.
In alto: “Scozia, il giorno della verità. Affluenza record, testa a testa tra sì e no”. “Un mercato più piccolo” è il titolo di uno dei due approfondimenti, dedicato alle ripercussioni economiche del voto. A centro pagina il quotidiano si occupa del “polo del lusso Made in Italy” tornando ad evocare un accordo tra Ferrari e gli altri marchi italiani noti nel mondo. Se ne parla con Giorgio Armani: “Io con Ferrari? Affascinante, ma non credo”.
A centro pagina anche il Jobs Act: “primo sì, Pd spaccato. Passa in commissione al Senato la mediazione Poletti-Sacconi. FI si astiene”. “Fmi: bene la svolta, tagli sulle pensioni”.
Il Fatto: “Indagato Renzi, il babbo”, “I pm di Genova da 6 mesi investigano sul padre del premier: ‘Bancarotta fraudolenta’. Avrebbe spolpato e venduto a un prestanome la società di famiglia (di cui il figlio è stato prima socio e poi dipendente) che distribuiva i quotidiani. Così fra l’altro salvò il Tfr di Matteo. Che sapeva tutto già martedì, quando ha attaccato i magistrati”.
A centro pagina, “il nuovo Nazareno”: “Bloccato l’autoriclaggio: lo riscrivono Boschi & Ghedini”, “Già promessa ai tempi di Letta, la norma per punire chi ‘lava’ i proventi dei propri delitti era pronta in commissione. Ma il premier l’ha stoppata (come piace a B.) e l’affida all’ultima coppia del ‘partito unico’”.
In taglio basso: “Consulta, il candidato Bruno è inquisito per interesse privato”, “Il fedelissimo del Caimano nel mirino degli inquirenti molisani. Ma per ora resta in corsa assieme a Violante per la Corte costituzionale. Pd e Fi, spinti dal Quirinale, insistono sui due trombati”.
Il Giornale: “Preso in ostaggio il papà di Renzi. Giustizia a orologeria. La procura di Genova lo indaga per bancarotta fraudolenta. Matteo furioso con i pm”. E poi: “Primo sì alla riforma del lavoro, ma mezzo Pd fa guerra al premier”.
A centro pagina: “La Scozia ha voltato pagina e si prepara al cambiamento”.
Jobs Act
Scrive La Repubblica che ieri la Commissione lavoro del Senato ha approvato l’emendamento al cosiddetto Jobs Act sul contratto a tutele crescenti per i nuovo assunti che “di fatto apre la strada alla modifica dell’articolo 18”. Il Pd in commissione ha votato compatto, si è astenuta Forza Italia, hanno abbandonato la seduta Sel e M5S. Ma i Democratici si sono divisi: dopo le critiche pronunciate da Fassina, anche Bersani ha detto che il governo ha “intenzioni surreali”. E il presidente del Pd Orfini, via Twitter, dice che “i titoli del Jobs Act sono condivisibili, lo svolgimento meno”, annunciando una discussione sul tema in Direzione.
Su La Repubblica anche un “colloquio” con Pierluigi Bersani e una intervista a Susanna Camusso. Bersani dice che la reintegra – anche se non obbligatoria – c’è in molti Paesi europei. Camusso – alla domanda sul fatto che il contratto a tutele crescenti non toglie diritti a nessuno – risponde: “‘Dipenderà da come le norme verranno scritte nei decreti attuativi. Per ora ci sono soltanto dei titoli. E in quello che deciderà il governo si capirà il valore che intende attribuire al lavoro”. La Cgil è per un “contratto a tutele crescenti che alla fine abbia una pienezz adi diritti per il lavoratore e poche altre forme contrattuali”.
Ancora sul quotidiano di Ezio Mauro: “ma Renzi tira dritto e avverte i pro articolo 18: ‘Votiamo in Direzione e poi tutti si adeguino'”.
Secondo La Stampa il premier potrebbe decidere di porre la fiducia in aula al testo votato ieri dalla commissione Lavoro del Senato. Il quotidiano intervista l’ex segretario Cgil ed ex segretario Pd Guglielmo Epifani, ora presidente della Commissione Attività produttive della Camera: condivide l’idea che il nostro mercato del lavoro debba esser reso “più inclusivo” (il premier aveva parlato di “apartheid”) perché “oggi ci sono lavoratori che non hanno diritti”. Va superata – spiega – la cassa integrazione in deroga, che è “troppo occasionale” e “bisogna poter garantire a chi resta senza lavoro una tutela più universale”. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti può essere la soluzione? “Questa è una buona soluzione, ma bisogna fare in modo che assorba e costituisca una parte consistente delle forme spurie del lavoro. E soprattutto occorre vedere bene la questione del reintegro”. Nel testo votato ieri non se ne fa cenno. Va lasciato o tolto? “Chiariamo subito che in molti Paesi europei il reintegro, magari con forme diverse, c’è. Non è vero che non c’è. Ora però se lo si fa saltare totalmente per affidarsi unicamente al risarcimento monetario si crea una soluzione che ha un limite fondamentale, come ci dimostra la Spagna di oggi. Si parte con un risarcimento alto, alla prima difficoltà poi lo si dimezza, quindi con la crisi lo si fa saltare del tutto”.
Alla pagina seguente de La Stampa, Federico Geremicca racconta: “Nel Pd la rivolta di un mondo, ‘Buttiamo via i nostri valori’”, “Cofferati: “In cambio di che?’. Lo scontro tra il premier e i vecchi”. E l’analisi è corredata dalla foto dell’ex segretario Cgil alla manifestazione del 2002 al Circo Massimo a difesa dell’articolo 18.
Su Il Fatto: “Quando difendere l’articolo 18 era ‘straordinario’”, “Nel 2002 il centrosinistra manifestava al Circo Massimo assieme a Cofferati. D’Alema firmava cappellini rossi, Rutelli rideva e un bel po’ di ‘renziani’ sfilavano compatti”.
Sul Corriere Maria Teresa Meli commenta: “Articolo 18, un copione sempre identico. Anche in questo caso si potrebbe ricorrere al voto di fiducia che consentirà al Pd, in nome del bene supremo, di restare unito”.
Il Corriere intervista Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro. “Fui trattata abbastanza male dal Pd quando feci la riforma del mercato del lavoro. E per me oggi sarebbe facile dire ‘avete quel che vi meritate’, ma il punto non è questo. Piuttosto mi chiedo se l’abolizione dell’articolo 18 sia davvero quel che serve'”. Fornero ribadisce che “le riforme del mercato del lavoro da sole non creano occupazione”, e poi “da una parte ci lamentiamo della precarietà e dall’altra liberalizziamo sempre più i contratti”. Fornero ricorda che si sarebbero dovuti valutare i risultati della sua riforma, di soli due anni fa, “misurare quanti sono stati i licenziamenti, quanti i reintegri decisi dal giudice e quanti gli indennizzi, e soprattutto quante controversie sono state risolte con la conciliazione. Questo non è stato fatto, rafforzando l’immagine di un Parlamento che cambia in continuazione le norme senza che si capisca perché”. Il titolo dell’intervista punta sul fatto che sarebbe – per Fornero – un “regalo al Ncd”.
Maurizio Sacconi viene intervistato dal Sole 24 Ore: “Nella delega la visione europea di Marco Biagi. La vera protezione del lavoratore coincide con la condizione di essere sempre rioccupabile”, dice, evocando il lavoro di Biagi sul riordino degli ammortizzatori sociali e i servizi attivi per l’impiego.
Tiziano Renzi
Tiziano Renzi, padre di Matteo, è iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Genova, per il reato di bancarotta fraudolenta: la società di distribuzione di giornali Chil Post è fallita nel 2013. Renzi l’ha venduta nel 2010 a due imprenditori liguri. Dice di essere certo che le indagini faranno chiarezza. Si è dimesso dal circolo Pd di Rignano sull’Arno, di cui era segretario.
Le prime tre pagine de Il Fatto sono dedicate alla vicenda giudiziaria: “La bancarotta di casa Renzi”, è il titolo dell’articolo a pagina due. E, in basso: “Il figlio sapeva da lunedì: ‘Ora tutti zitti’” (la linea sarebbe di tener bassa la polemica). L’avviso di garanzia sarebbe stato notificato lunedì sera e Il Fatto sottolinea che il premier martedì ha tenuto un discorso al Parlamento con toni forti per ribadire posizioni garantiste (“arrivare a sentenza preventiva sulla base dell’iscrizione nel registro degli indagai è un atto di barbarie”, aveva detto). A pagina 3: “La cassa di famiglia. Gli strilloni del Perù e il tfr di Matteo”, “Il premier, grazie alla ditta paterna (distribuzione di giornali) ha una buona anzianità contributiva e un trattamento di fine rapporto al sicuro”.
Il Sole 24 Ore intervista Michele Di Lecce, procuratore della repubblica di Genova. Spiega che il procedimento è stato iscritto circa sei mesi fa, ma le indagini non si sono chiuse, e i pm hanno chiesto la proroga al Gip. Al momento sono quattro indagati, compreso Tiziano Renzi. L’informazione di garanzia “è collegata alla posizione che Renzi ha avuto nella società”. “Al momento del fallimento lui non era amministratore ma aveva ricoperto gli incarichi previsti dalla legge fallimentare. Poi gli sono subentrati altri amministratori, le cui posizioni sono anch’esse all’esame. Quindi non è rilevante il ‘quando’ del fallimento ma alcuni suoi precedenti comportamenti”. La proroga delle indagini è stata chiesta perché “il terreno è magmatico, sei mesi non sono tanti e non abbiamo potuto fare gli approfondimenti necessari”. Nell’inchiesta non è indagato assolutamente il figlio, Matteo.
Su Il Giornale: “Indagato Renzi senior: bancarotta fraudolenta. Ira di Matteo contro i Pm. L’inchiesta di Genova sul fallimento della società Chil Post. ll padre Tiziano: si chiarirà tutto. Il premier tace ma i suoi insinuano: ‘Chi tocca i fili della giustizia si brucia. Come Mastella e Castelli”.
Sul Corriere si racconta “il personaggio” Tiziano Renzi. “‘Non ho parlato con Matteo. La tempistica? Non mi permetto’. E il premier dice ai suoi: su papà non c’è nessun complotto”. Secondo il quotidiano Renzi figlio avrebbe “dettato la linea ai suoi: non c’è nessun complotto, massima serenità sulla inchiesta”.
Consulta
“Consulta, nulla di fatto. Non bastano i voti di Sel”, titola La Stampa. Violante si è fermato a 542 voti, Donato Bruno a 527: entrambi hanno ottenuto più voti della seduta precedente, ma “a poco è servito – scrive il quotidiano – l’accordo intessuto nella notte con i vendoliani -voi votate Violante e Bruno, noi facciamo passare la vostra candidata per il Csm. E a poco servirà, con tutta probabilità, analogo pressing sulla Lega di Berlusconi, che si ripromette di ‘sedurre’ Salvini sabato a San Siro”.
Anche sul Corriere la stessa notizia: un “retroscena” del quotidiano spiega che Berlusconi starebbe trattando “il sì decisivo” del Carroccio, perché i voti della Lega potrebbero sbloccare il caso”.
Su La Repubblica ci si sofferma anche sulla “faida di FI”, nel senso che Forza Italia campana – sotto la regia del coordinatore Nitto Palma – starebbe “facendo la guerra al pugliese Bruno”, votando per Ciro Falanga e Nino Marotta per il Csm. I due ieri avevano preso in tutto 43 voti. “Il partito di Cosentino è tornato in azione, vuole contare, sfrutta l’occasione non votando per Violante e stoppando la strada a Bruno, ben sapendo che non riuscirà ad eleggere uno dei suoi al Csm”, dice un anonimo citato dal quotidiano. Ma allora a che serve, visto che non saranno eletti? “A mettere il cappello sulla sedia della Campania”, la risposta.
Sul Corriere: “Franchi tiratori e assenti. Consulta, è ancora stallo. Il patto con Sel non basta. Mancano all’appello alcuni senatori a vita”. Ma “il ticket va avanti”, anche se “dietro le quinte resta l’ipotesi di un nome alternativo a Violante”, che sarebbe quello di Augusto Barbera o di Stefano Ceccanti.
Fmi
Sul Sole 24 Ore: “Fmi all’Italia: pensioni da rivedere. Il rapporto avverte: la spesa previdenziale è troppo alta. Per consolidare i conti mancano 7-8 miliardi”. Il Fondo ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita italiana, e raccomanda “rapide riforme strutturali soprattutto nel settore del lavoro, della pubblica amministrazione, della giustizia civile”, per “far ripartire l’economia”. Il rapporto dice anche che è difficile ottenere risparmi significativi quest’anno se non intervenendo sulla spesa pensionistica, “la più grande d’Europa, pari a circa il 30 per cento del totale”.
Il quotidiano offre anche un colloquio con il direttore esecutivo del FMI per l’Italia, Andrea Montanino, che dice che il consolidamento fiscale era condizionato al miglioramento dell’economia. Ma visto che non c’è crescita, non è possibile fare di più. “Non serve una manovra, l’obiettivo è la crescita” è il titolo del colloquio. Secondo Montanino il “nodo cruciale” in Italia è la giustizia. Sul lavoro, dice, “ho fatto notare che il processo non comincia oggi, va avanti da diversi anni: una parte importante è stata approvata dal Parlamento, come i contratti a termine e l’apprendistato”. Quanto alla giustizia, “fare in modo che non passino mille giorni, in media, per risolvere un caso è il focus principale”.
Bce
Dalla prima Tltro della Bce sono andate alle banche italiane circa 23 miliardi. “Complessivamente i risultati sono stati inferiori alle attese”, dice Il Sole 24 Ore, che ricorda come il totale della dote distribuita in Europa è stato di circa 82,6 miliardi di euro concessi in questo primo round dalla Bce. Ma le banche italiane “non hanno sfigurato”.
Il Sole intervista due Ceo, quello di Intesa e quello di Unicredit. Per Messina l’asta di ieri non è stata un flop, “non mi aspettavo un esito diverso”, perché “in questa fase di rendimenti quasi a zero alle banche non conviene prendere di più di quanto non serva per un impiego immediato”. Lo strumento Tltro è stato “disegnato in modo eccellente, perché le regole sono chiare ed è direttamente finalizzato all’economia reale”. “Noi, per i primi 4 miliardi che abbiamo chiesto ieri, abbiamo individuato un bacino di aziende a cui saremo in grado di offrire linee a medio-lungo termine a condizioni più vantaggiose che in passato”.
Ghizzoni, Ad di Unicredit, dice che tutti soldi chiesto alla Bce (7,75 miliardi) saranno “destinati al credito. Abbiamo richiesto l’importo massimo consentito per le nostre attività in Italia, la quota restante di dicembre sarà riservata a Germania, Austria e altri Paesi in cui operiamo”.
Sul quotidiano di Confindustria un commento di Carlo Bastasin, ce si scrive che chi si aspettava più adesioni all’offerta Bce osserva che nella operazione di ieri si sono fatte sentire soprattutto le defezioni delle banche di Paesi non della periferia. Alcune di esse hanno voluto evitare di apparire bisognose di fondi proprio alla vigilia della valutazione dei bilanci” (lo stress test per le banche europee, ndr).
Su La Repubblica una intervista all’economista Allen Sinai: “Non c’è più tempo, ora solo l’acquisto massiccio di titoli può battere la crisi”. “L’insuccesso del maxiprestito di Draghi conferma ancora una volta che serve il Quantitative Easin, l’acquisto generalizzato di titoli sia pubblici che privati per immettere liquidità nel sistema in modo massiccio e a ogni livello”, dice Sinai, che critica “l’inspiegabile ritardo” della Bce nel prendere “decisioni coraggiose”.
Treni
Su Il Giornale una intervista ad Antonello Pericone, amministratore delegato di Ntv, la compagnia ferroviaria concorrente di Trenitalia. “‘Italo si salverà con le proprie forze. A giorni la soluzione del nodo finanziario'”. Dice che “anche se c’è chi tifa contro”, “ci salveremo”. Annuncia per il 24 settembre un piano industriale, “saranno richieste sacrifici”, perché “non è un mistero che l’azienda stia soffrendo”, anche se “non per colpa sua”. Dice che il pedaggio sulla rete incide per il 40 per cento sui ricavi, e questo è “troppo”. “Pretendiamo chiarimenti e risposte dettagliate sulla metodologia di determinazione del pedaggio che versiamo a RFI”, società di Fs, come Trenitalia. “In linea teorica, se volessimo realmente rendere indipendente il gestore, bisognerebbe separare Rfi da Fs”, dice Pericone.
Isis
Su La Repubblica si dà conto dell’ennesimo video dell’Is, con l’ostaggio John Cantlie, giornalista rapito in Siria, che rimprovera il suo governo di averlo “abbandonato”. Vittorio Zucconi commenta che “la tecnica del prigioniero costretto a pronunciare editti favorevoli al boia è naturalmente antica e ben collaudata”, ma “l’idea di uno show televisivo, un magazine a puntate prodotto dall’interno della organizzazione che ha in pugno il povero anchorman è nuova”, e testimonia “non soltanto dell’influenza occidentale sulla propaganda jihadista” ma anche della “necessità di rispondere al disgusto che spettatori e cittadini di buon senso nel mondo civile stanno provando pere la loro brutalità”.
Sul Corriere, Guido Olimpio: “E l’ostaggio in video diventa ‘portavoce'”. Si legge che “l’operazione mediatica dell’Isis è evidente”, “dimostra di poter risparmiare la vita all’ostaggio e lo utilizza per i suoi scopi”, per “alimentare la polemica sul trattare o meno con il movimento”.
Ha fatto molto scalpore ieri la notizia dei 15 arresti tra Sydney e Melbourne, in Australia. Persone con presunti legami con lo Stato islamico. Nove dei 15 sono poi stati rilasciati, scrive Il Giornale.
Il Corriere: “Australia sotto choc. ‘Volevano decapitare le persone in strada’. Sventato complotto ispirato dall’Isis”. Secondo la polizia un aspirante attore e buttafuori in discoteca, Mohamda Ali Baryalei, avrebbe esortato i suoi sostenitori a portare avanti degli omicidi dimostrativi. Baryalei sarebbe stato in Siria e Iraq. Nei giorni scorsi, parlando con un altro arrestato, Omarjan Azari, avrebbe parlato di rapire e decapitare una o più persone scelte a caso in Australia. Le vittime avrebbero dovuto essere avvolte nella bandiera dello Stato islamico e l’azione avrebbe dovuto essere filmata. La maggior parte degli arrestati è australiana, “nati e cresciuti qui”, ha detto il commissario di polizia Andrew Colvin.
E poi
La Repubblica offre alle pagine R2 una intervista a “Meriam, la cristiana fuggita dal Sudan. ‘Anche negli Usa ho ancora paura”. “‘Il mio calvario da cristiana, ma avevo Dio insieme a me’. Parla la donna sudanese condannata a morte per la sua fede’”. L’intervista è stata realizzata da Fox Tv.
Ancora alle pagine della cultura un intervento dello scrittore Jonathan Lethem, che “racconta l’ultimo Pynchon”. “‘L’11 settembre tra paranoia e noir'”. “L’undici settembre secondo Pynchon”.