I dati quasi definitivi di questa mattina sulle elezioni europee attestano il Partito Democratico al 40,8 per cento, il Movimento 5 Stelle al 21,15 e Forza Italia al 16,79. Superano il quorum la Lega (con oltre il 6 per cento), il Ncd e quasi sicuramente la Lista Tsipras.
Negli altri Paesi: in Austria vincono i popolari, in calo rispetto alle ultime elezioni. Salgono un po’ i Socialdemocratici. In Danimarca vince il Partito Popolare, formazione anti-immigrati. In Spagna il PPE perde 8 seggi, il Partito Socialista ne perde 9, la Sinistra passa da 2 a 6 seggi, risultato importante degli “indignati” di “Podemos”, che conquistano 6 seggi.
In Francia, quasi definitivi: FN al 25.65 per cento, l’UMP al 20.67 per cento, il Partito socialista al 13.97, l’UDI-Modem al al 9.76, i Verdi all’8.86 e il Front de la Gauche al 6.23.
In Germania Cdu-Csu meno 7 seggi ma comunque primo partito. Spd + 4 seggi, esultano Gabriel e Schulz. Dimezzano i voti i Liberali, entra in parlamento Alternativa per la Germania (con 7 seggi) e anche il partito neonazista (con un parlamentare)
In Gran Bretagna l’Ukip conquista 22 dei 56 seggi. 16 ai Laburisti (cinque in più dell’ultima volta), meno 6 seggi per i Conservatori.
Le aperture
L’Unità: “Vittoria straordinaria”. Il sottotitolo fa riferimento alle “proiezioni”, e il quotidiano scrive che il Pd è “attorno al 40 per cento”, che Grillo è “giù al 22” e che Forza Italia è sotto il 15”.
A centro pagina: “Valanga Le Pen travolge Hollande. Bene Spd, Tsipras primo in Grecia”. A fondo pagina, il Papa in Israele e Palestina: “’Due Stati per la pace’. Francesco al muro della vergogna. Invito a Roma, sì di Peres e Abu Mazen”.
Il Corriere della Sera: “Vince Renzi, Pd mai così forte, battuto Grillo”. “I democratici superano il 40 per cento”. “I Democratici superano il 40 per cento, i 5 Stelle perdono voti e si fermano attorno al 22, Berlusconi tra il 16 e il 17, bene la Lega. Alfano e Tsipras sono in lotta per il quorum”. “Il successo del Presidente del Consiglio va oltre ogni previsione”.
A centro pagina, sugli altri Paesi: “Le Pen trionfa, Hollande affonda. Avanzata populista in Europa”. A fondo pagina la visita del Papa in Terrasanta: “Israeliani e palestinesi a casa del Papa”.
La Repubblica: “Il trionfo di Renzi, flop di Grillo”, “Terremoto Le Pen in Francia”.
La foto a centro pagina è per un Renzi che esulta.
La Stampa: “Renzi vola e doppia Grillo”.
A centro pagina: “Francia alla Le Pen. Hollande ora trema”.
A centro pagina anche la foto di Papa Francesco che, a sorpresa, ha fatto fermare l’auto per inchinarsi al muro del pianto: “Il Papa al muro fra Israele e Palestina”.
Il Fatto: “Renzi doppia Grillo. Pd record: oltre il 40%”.
Accanto alla testata: “In Francia boom di Marine Le Pen. Hollande, spettro nuove elezioni”.
Il Sole 24 Ore offre una edizione straordinaria: “Renzi vince, shock francese sull’Europa”. “In Italia la prima proiezione dà il Pd al 40 per cento, M5S si ferma al 23, FI al 16. Lega al 6 per cento, Ncd e Tsipras al 4”. Di spalla: “Ora sotto osservazione lo spread di Parigi”.
Il Giornale: “Grillo asfaltato. Renzi dilaga, Alfano nei guai: rischia di sparire. Berlusconi riesce a tenere in gioco Forza Italia, risorge la Lega di Salvini. Terremoto a Parigi e Londra: i no Euro davanti a tutti. Voto contro la Merkel”. E poi: “Miracolo Le Pen: si prende la Francia. E Farage fa boom”. A fondo pagina: “Se il Papa mette pace nel mondo”.
Tsunami Pd
“Stavolta lo tsunami si chiama Pd”, scrive nell’editoriale in prima pagina su La Repubblica Massimo Giannini, sottolineando che “il Pd di Matteo Renzi” ha conquistato le europee con un plebiscito senza precedenti nella storia repubblicana (se non quello della Dc di De Gasperi negli anni ’50)”, “in un’Europa dove sfondano tutte le estreme euro-fobiche, e dove i popoli puniscono tutti i governi in carica (ad eccezione della solita Merkel), Renzi questa sfida l’ha stravinta e Grillo, addirittura doppiato dal Pd,l ‘ha strapersa”.
Secondo il quotidiano, Grillo starebbe pensando a lasciare la guida del movimento.
La Stampa: nell’editoriale in prima Federico Geremicca scrive, parlando del Pd di Renzi: “non è la Democrazia cristiana e De Gasperi e Fanfani: più modernamente, è il Partito democratico di Matteo Renzi”. E alle pagine interne: “Renzi, il trionfo mai visto di un uomo solo al comando”, “Il Pd a percentuali non toccate prima, né alle politiche né alle europee”. Più che gli 80 euro, la “trazione Renzi” ha funzionato grazie all’appello alla speranza e all’ottimismo, più una certa frenesia e velocità che in certi momenti hanno ricordato il Berlusconi delle origini.
Il quotidiano intervista Goffredo Bettini , candidato Pd alle Europee: “Grande risultato, conquistati anche i voti dei moderati”, “Oggi, essendo confermata una presenza dignitosa della lista Tsipras, mi pare che l’espansione verso i moderati sia ancora più significativa”, anche rispetto al 2008.
Il quotidiano parla di “svolta nel Nord-Est”: “Imprese e artigiani. La destra in Veneto si affida a Renzi”, “Gli imprenditori lasciano Lega e Forza Italia”.
“Il Pd dilaga al Centro, sfondata quota 48%, Sud al 36%, Nord oltre 40%”, titola La Repubblica. E aggiunge che per i democratici c’è stato un dato record in Toscana, dove si è raggiunto il 56%. In Emilia 52%. “E l’astensionismo spacca il Paese in due”, visto che il Mezzogiorno ha disertato il voto, con Sicilia e Calabria a quota 40%.
In prima su Il Fatto, l’editoriale del direttore Antonio Padellaro, “Il bivio del vincitore”: “Renzi ha travolto Grillo realizzando un successo clamoroso come non si vedeva dai tempi della vecchia Dc”. Il M5S non solo “non ha sfondato”, ma “arretra” rispetto alle politiche: Grillo ha spaventato “molti elettori con i suoi proclami gettandoli nelle braccia di Renzi”. Il bivio per Renzi: o arroccarsi a Palazzo Chigi rischiando di “farsi logorare da una coalizione più fragile e con un Parlamento non del tutto amico. Oppure rilanciare lo straordinario successo personale raccolto alle Europee sul tavolo delle elezioni politiche (anche nel prossimo autunno), Sarebbe una sorta di sfida finale con un Grillo ridimensionato. Ma Napolitano sarà d’accordo?”.
Sul Corriere della Sera Massimo Franco, con l’editoriale di prima pagina, scrive che il voto dimostra che “il grillismo è una gigantografia della crisi del sistema, non la sua soluzione. La realtà è che l’Italia preferisce la promessa di stabilità e di cambiamento di Renzi, per quanto ancora indefinita. E le dà fiducia, mentre una porzione di opinione pubblica oltre il 40 per cento si astiene, in attesa di un’offerta politica nuova”. Sicuramente “sl disastro dei partiti al governo in Europa, Germania esclusa, sottolinea ancora di più un’affermazione del Pd superiore alle previsioni”. Quanto a Renzi, “affidava al voto europeo la legittimazione popolare che ancora gli manca per stare a Palazzo Chigi. Ebbene, seppure indirettamente, l’ha ricevuta”, anche grazie “alla paura di ceti moderati pronti a ‘turarsi il naso’ e votare a sinistra per scongiurare il caos grillino”.
Sullo stesso quotidiano una analisi di Francesco Verderami si sofferma sul tema delle riforme istituzionali, perché le elezioni propongono “un mondo nuovo, una vera e propria cesura con il passato: di qua un Renzi dominus di un risultato senza precedenti, di là un Grillo assai ridimensionato nelle mire, in mezzo il tramonto di Berlusconi e del berlusconismo, con Forza Italia che assiste alla propria disfatta e il Nuovo centrodestra che lotta per la sopravvivenza”. Il voto insomma “potrebbe spazzar via le ultime macerie della Seconda Repubblica o dar vita a un nuovo ‘arco costituzionale’ attorno al presidente del Consiglio”, in cui le forze di opposizione, compresi FI e 5 Stelle, “decidono di mettere davvero mano alla Costituzione per non soccombere”. Il governo dovrà fare un rimpasto, e non c’è invece “la prospettiva di allargare i confini dell’area di governo a Berlusconi”, il quale dorà decidere “se far da ‘padrino’ a un nuovo ‘arco costituzionale’ o consegnarsi a un ruolo marginale. Resta da capire quali contropartite potrà ora chiedere al capo dei democrat, e se Renzi sarà disposto ad accettarle”.
“Sull’ex Cavaliere lo spettro della irrilevanza” è il titolo di un commento firmato da Michele Prospero su L’Unità.
Ancora su L’Unità ci si sofferma sul Movimento 5 Stelle “che si ritrova senza piano B”, e scrive che Grillo ora “potrebbe lasciare”. Il quotidiano ha seguito la conferenza stampa annunciata dai parlamentari grillini Morra e Lombardi, ieri sera “in uno sperduto hotel dell’Eur”, mentre si seguivano i risultati: “i voti rispetto al 2013 calano drasticamente, almeno un milione in meno. Il futuro, per quella che resta la seconda forza del Paese, è una grande incognita. Le strade per un dialogo in Parlamento sembrano chiuse definitivamente, l’asticella è stata posta dal leader troppo in alto, e quando uno per due mesi annuncia che stravincerà 20 punti di distacco sono una sconfitta senza appello”. E si ricorda che “Casaleggio aveva detto dal palco di piazza San Giovanni a Roma: ‘Se falliamo stavolta siamo fuori per decenni’. Lo stesso Grillo ha più volte detto che ‘se gli italiani votano questa gente qua noi ce ne andiamo a casa’- Il leader è distrutto dalla lunga campagna nelle piazze, le decisioni sul futuro non sono ancora state prese. Ma è possibile che decida di passare la mano”.
L’Unità dà conto delle dichiarazioni di ieri del ministro Maria Elena Boschi: “Nessuna minaccia di voto anticipato, c’è un programma di governo che abbiamo intenzione di portare avanti. Vogliamo lavorare negli interessi dei cittadini”.
In Europa
Su Il Giornale si scrive che “l’Ukip è nell’olimpo del Regno Unito e guarda minaccioso Westmister, la casa della democrazia inglese che alle prossime elezioni politiche tenterà di espugnare una volta per tutte”. Nigel Farage, “trionfante”, ha detto ieri che “’È giunto il tempo che la Gran Bretagna divorzi dall’Unione europea’”. Il cronista del quotidiano descrive il leader dell’Ukip come “uno che non vuole piacere per forza. Tanto sicuro di sé da sbattere la porta in faccia alla donna del momento, Marine Le Pen, e a strizzare divertito un occhio a Beppe Grillo. ‘Vorrei incontrarlo e discutere con lui delle nostre politiche che hanno molto in comune’, spiega dicendosi affascinato dal “modo elettrizzante” con cui il comico porta avanti le campagne elettorali del M5S. Adesso, però, dopo aver schiacciato i conservatori di David Cameron e annientato i Lib Dem di Nick Clegg, gli importa solo di dare la spallata definitiva a quell’Unione europea che, negli ultimi dieci anni, ha distrutto il welfare inglese favorendo l’immigrazione dall’Europa dell’Est”.
Sul Corriere: “Arriva il terremoto Farage, contende ai Laburisti il primato in Gran Bretagna”. “In calo i Conservatori del premier Cameron”. Farage nella notte ha rivendicato la vittoria. I Laburisti – ma i dati arrivano a rilento – sarebbero al 30 per cento, i Conservatori al 22.
Il Sole 24 Ore scrive del voto francese e parla di “Terremoto in Francia”, parole usate dal Primo Ministro Valls, che stamattina parteciperà ad un vertice all’Eliseo convocato da Hollande. Il Front national quasi al 26%.
Sullo stesso quotidiano Carlo Bastasin scrive che “senza un governo a Parigi che disponga di un mandato popolare europeista non è realizzabile alcuna iniziativa che modifichi l’assetto attuale delle istituzioni europee. Non solo sono impossibili modifiche dei Trattati che richiedano una ratifica parlamentare, ma anche i tentativi, già in corso, di rendere più ambizioso il coordinamento tra i Paesi subiscono un contraccolpo”. Bastasin scrive che è indebolita persino “la stessa centralità tedesca”, e comunque – anche se “l’ondata populista è prevalsa solo in alcuni Paesi” – “l’anti-europeismo ‘da salotto’ ha prevalso in buona parte delle circoscrizioni del continente”, perché sono stati premiati “premiati quei partiti di governo che nel corso della campagna elettorale hanno internalizzato la protesta, cavalcando i temi anti-europei che normalmente erano caratteristici dei partiti radicali”. E questo “è l’aspetto più pericoloso”.
Sul Corriere firma una analisi dal titolo “Il cuore malato al centro dell’Europa” e ricorda l’intervento di Sarkozy alla vigilia del voto e la sua richiesta di “immediata sospensione del Trattato di Schengen”, “segnale premonitore del futuro che ci attende a Bruxelles”. La vittoria della Le Pen “azzera i margini di manovra” di Hollande “il cui immobilismo è probabilmente la principale causa dell’onda nera”.
Il Sole 24 Ore, che si sofferma sul voto su molti dei Paesi, offre anche una analisi in cui si scrive che, dopo il trionfo per Marine Le Pen, il “momento è grave per l’Europa intera”
La Repubblica parla di “terremoto politico” dando conto dei risultati di Marine Le Pen in Francia e scrive che i candidati dell’ultradestra “sfondano in sette circoscrizioni; successo anche nell’area metropolitana di Parigi e nell’Ovest del Paese, tradizionalmente terra di conquista dei moderati. “Il Fronte è il primo partito” e chiede lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale. Si parla poi di un “vertice d’emergenza” all’Eliseo, visto che i socialisti sono crollati al minimo storico.
La Stampa: “Onda euroscettica, ma Bruxelles resiste”, “Exploit dei populisti, oltre 110 seggi, i popolari restano primo partito”, scrive il corrispondente da Bruxelles Marco Zatterin, sottolineando come sia il presidente francese Hollande a pagare “il conto più grande”. In alcune regioni del Nord della Francia Marine Le Pen ha superato il 50 per cento: chi l’ha scelta è arrabbiato, per la crisi, l’economia che non gira, eppure il Front National ha perso gli alleati belgi e slovacchi, mentre gli olandesi dell’antislamico Wilders sono andati male. Ora la signora Le Pen invita Grillo a unirsi a lei. A Strasburgo potrebbe mettere su un gruppo numeroso. Vorrebbe i britannici dell’Ukip, arrivato sulla vetta della politica britannica. Ma Nigel Farage (il leader Ukip), probabilmente non accetterà le sue lusinghe e guarda ai Cinque Stelle. Se il matrimonio andasse in porto potrebbe condurre al quarto gruppo” dell’Europarlamento.
La Repubblica, occupandosi dei risultati della Lega Nord, che pare vicina al 6%, scrive che il Carroccio è stato spinto dalla Le Pen: prezzo da pagare, l’alleanza con la leader del Front National e gli altri partiti ultranazionalisti e xenofobi. Alleanza che, secondo il quotidiano, il vecchio leader Umberto Bossi considerava contronatura.
Anche La Repubblica evidenzia come malgrado l’avanzata della “ultradestra” in Europa, i moderati “tengono” . E se Front National e Ukip diventano primi partiti in Francia e Gb, “i partiti tradizionali governeranno ancora l’Unione”.
I conservatori del Ppe, scrive il corrispondente da Bruxelles Andrea Bonanni, restano il primo partito anche se perdono voti. Reclamano la poltrona di presidente della Commissione per il loro candidato Junker: “i socialisti e democratici tengono sostanzialmente la posizione, in particolare grazie ai voti italiani, ma non riescono a fare il sorpasso”. Il loro candidato Shulz ritiene comunque di poter formare una maggioranza parlamentare che gli garantirebbe la presidenza della Commissione. I capi di governo devono nominare, secondo le nuove regole del Trattato di Lisbona, il presidente della Commissione “tenendo conto” dei risultati elettorali e dovranno quindi decidere se piegarsi all’imposizione del Parlamento, che vuole indicare il candidato alla poltrona. Ma i leader più euroscettici come il britannico Cameron e l’ungherese Oorban non vogliono accettare le nuove regole. E anche la cancelliera Merkel sarebbe riluttante a rinunciare al privilegio di decidere il nome del presidente della Commissione.
La Repubblica intervista il leader della Fpoe austriaca, Heinz-Christian Strache, in forte avanzata nel suo Paese, che dice: “Il rigore acuisce le disuguaglianze sociali. E molti europei sentono la perdita d’identità della nostra cultura cristiana ed occidentale”.
Il Giornale ricorda che – almeno stando ai dati provvisori – il PPE avrà più seggi dei socialisti al Parlamento europeo, e che Jean Claude Juncker, il candidato popolare, ha già rivendicato il posto di Presidente della Commissione.
Sul Corriere: “Per ora, si può prendere atto della probabile nomina a presidente della Commissione europea del popolare Jean-Claude Juncker, che avrebbe prevalso sul socialista Martin Schulz, più diretto concorrente: ‘Abbiamo vinto nel momento della crisi’, ha esultato il presidente del Ppe, John Daul. Lo stesso Juncker ha detto: ‘Voglio essere il presidente della prossima Commissione. Il mio obiettivo è di creare la coalizione più ampia possibile. Sono pronto a negoziare, ma non mi metterò in ginocchio di fronte al Pse’”.
Sul Corriere da segnalare anche una intervista a Zygmunt Bauman, più che sul voto sulla campagna elettorale: “Cittadini distanti, l’Ue deve riconciliare potere e politica”, “democrazia rappresentativa in crisi”, e una a Bernard Henry-Levy: “Il pericolo adesso è lo smantellamento del sogno europeo. Temo le nuove leghe fasciste”.
Papa
Il Giornale intervista Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, sull’invito di Papa Bergoglio a israeliani e palestinesi di incontrarsi in Vaticano: “’La preghiera ha una grande forza politica’”, dice Parolin, che dice che l’incontro sarà “a breve”.
La cronaca del Corriere racconta della preghiera del Papa al muro di separazione tra Israelani e Palestinesi: “Il Papa scende e si avvicina al cemento solcato di graffiti, non lontano dai murales di Banksy, almeno tre minuti che sembrano non finire più: guarda in alto, poi abbassa il capo e chiude gli occhi, posa la mano destra sul muro e resta così, in preghiera, davanti a questo ‘simbolo di divisione e di incapacità degli uomini a costruire veramente la pace in questa terra’, come dice padre Lombardi”.
Quanto all’incontro in Vaticano, le parole di Bergoglio: “In questo luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a lei, signor presidente Mahmoud Abbas, e al signor presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera”.
E poi
Su La Stampa Jas Gawronsky traccia un ritratto di Wojciech Jaruzelsky: “Addio a Jaruzelski, il generale comunista fra Walesa e Wojtyla”, “Schiacciò Solidarnosc ma salvò la Polonia dall’invasione sovietica”. Parlando del suo senso di colpa, Gawronsky scrive che per tutta la vita ha cercato di giustificare il golpe del 1981 (“Ho evitato un bagno di sangue”, diceva).
Due intere pagine de La Repubblica sono dedicate alla morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli in Ucraina. Accanto a lui, anche lui ucciso, c’era Andrej Mironov, giornalista, attivista dell’organizzazione Memorial, impegnato da sempre contro la guerra in Cecenia e collaboratore del quotidiano Novaya Gazeta, per cui lavorava Anna Politkovskaya: “Andy, Andryj e gli altri, i free-lance coraggiosi che sfidano la morte per mostrare la guerra”.
Anche La Stampa dedica due pagine a questa vicenda (“Era la sua storia, Rocchelli è morto per raccontarla”). E intervista il fotografo della agenzia Wostok Press, l’unico superstite del gruppo, che dice: “penso che a spararci siano stati i soldati ucraini”.
La Stampa si occupa delle elezioni presidenziali in Egitto, che iniziano oggi, con un reportage di Francesca Paci: “Nasce l’Egitto di Al Sisi. E’ subito incubo austerity”, “l’economia cancella i sogni di Tahrir”. Lo Stato incassa solo 20 miliardi di euro di tasse, mentre dovrebbe averne almeno 92.
Photo Credits: @JackBraca (via Twitter)