Her è un film straordinariamente profondo che andrebbe visto e rivisto: una storia allegorica, un’indagine filosofica, mistica, letteraria, sulla natura esoterica dell’amore, sulla sua potenza liberatoria e conoscitiva. Un uomo, Theodore, svolge il suo lavoro scrivendo intense lettere d’amore a sconosciuti; soffre per l’assenza della compagna che lo ha abbandonato per una improvvisa crisi sentimentale e comunicativa seguita a una straordinaria condivisione di esperienze ed emozioni; trascorre il suo tempo libero in solitudine a ricordare e a sognare i momenti felici perduti. Theodore si aggira in spazi interni ed esterni nitidi e translucidi, quasi iperreali, in ufficio, in casa, al chiuso e all’aperto, in una metropoli fatta di molte e di nessuna città, di non-luoghi popolati da una folla di esseri solitari, immersi come lui in un inarrestabile soliloquio interiore con il proprio tablet o smartphone.
Nell’aerea città, dove smog e traffico sono assenti, tutto è trasparente, comunicante, interconnesso, non c’è soluzione di continuità tra alto e basso, largo e lungo, aperto e chiuso: le pareti del suo appartamento sono di vetro, l’ufficio in cui lavora è privo di porte, gli spazi esterni dove cammina a piedi sono fluidi e privi di barriere. Theodore ogni giorno fa lo stesso percorso tra casa e ufficio, come racchiuso in una bolla da cui sembra essere stato risucchiato ogni minimo granello di polvere o di pulviscolo atmosferico; uno spazio-mondo che apparentemente è sempre lo stesso ma che non sembra riconoscerlo e che lui stesso non riconosce pur abitandolo nella quotidianità. Lo stesso sembra accadere alla folla di persone accanto a lui e ai pochi amici e conoscenti che frequenta. Nonostante tutto appaia in movimento, lui stesso e il mondo in cui si aggira insieme a tanti altri sembrano essere fermi e immobili, abitanti di uno spazio metafisico: come nei Bagni misteriosi di De Chirico, dove reticoli di canali, dedali di sentieri e di oggetti tra loro incoerenti disegnano un enigma in cui sembra riflettersi una topografia interiore speculare a quella esterna.
Ma ecco manifestarsi Samantha, un nuovo sistema operativo, che prende forma dialogando con lui, raccogliendone i frammenti di identità nella memoria del computer, intendendone i dissidi interiori, analizzando soprattutto l’amore che lo tormenta come eterno rammarico e scontento di sé. Fermata con una spilla proprio sul cuore di Theodore, Samantha, incorporea, sapiente aggregato di potenzialità intellettiva, ne riordina man mano l’insieme caotico e fluttuante di emozioni, sentimenti e memorie trasformando la sua oscura sofferenza in entusiasmo, accensione, inchiesta d’amore e di sé: attraversando gli strati mobili e permeabili della sua personalità e delle sue emozioni, trovando imprevedibili sentieri di senso che sfuggono a Theodore, Samantha non solo lo restituisce gradualmente a sé ma si costituisce, lei stessa, come entità consapevole e senziente. Theodore è in pezzi e soffre per la fine irrimediabile di un rapporto con la donna che ha segnato la sua formazione sentimentale e la sua prima giovinezza; soffre a un punto tale da isolarsi dal mondo cercando una compensazione alla perdita e all’assenza della donna amata nella quotidiana scrittura di intense e vibranti lettere a sconosciuti che diventano il suo intimo canzoniere d’amore. Con l’entrata in scena di Samantha, entità immateriale, pura corrente di energia vitale, assenza e presenza, l’amore si manifesta a Theodore per quel che è, come potente struttura desiderante, misterioso cardine di identità, motore di conoscenza e consapevolezza di sé. L’assenza fisica della sua donna si compensa man mano, pienamente, nella presenza sia pur virtuale e fluida di Samantha, che non ha bisogno di un corpo per esistere, esprimere e condividere l’esperienza d’amore di Theodore, in cui ogni individualità si perde per riconquistare quell’indifferenziata unità da cui ogni essere proviene e dove sogna di tornare.
Una metafora continuata, dunque, la vicenda di Theodore, una storia allegorica cifrata che racconta il suo viaggio in interiore homine, una sorta di percorso iniziatico per gradi, simile a quello dei filosofi antichi, dei mistici, dei trovatori, dei poeti stilnovisti, dei visionari, di Dante e Cavalcanti. Samantha, man mano che il suo essere prende forma nel continuo dialogo con Theodore, esprime, infatti, lei stessa, sempre più intensamente, il senso della sua inchiesta fino a indicargli la via risolutiva dell’amore universale nella pratica del colloquio, della conoscenza e della condivisione con cento, mille altri esseri senzienti e intendenti.
Il passaggio determinante di questa crescita che porta Samantha a illuminare il cammino sofferto di Theodore è quello in cui si imbatte in un’altra entità virtuale, sintesi della personalità di Alan Watts, studioso di filosofia orientale, autore di celebri libri come Il Tao o La via dell’acqua che scorre. Ed ecco svelata la chiave di lettura di Her, Lei, Samantha, vale a dire la mirabile sposa del Cantico dei Cantici, vale a dire Ginevra o Isotta, vale a dire Beatrice, la dama celeste e inarrivabile, vale a dire il mitico Graal, meglio ancora il ‘tao’, la via del sé, della ricomposizione degli opposti nell’instabilità e nel perenne fluire e divenire di ogni essere e cosa. Secondo i codici dell’amor cortese la distanza dell’amata è necessaria ad affinare il sentimento del cavaliere che deve percorrere un cammino iniziatico e superare molte prove per conquistarla, per ritrovare, cioè, le radici dell’essere, l’energia primaria della vita. L’amor de lonh, la fin amor, la mistica esperienza di sé che cantano grandi poeti come Jaufré Rudel, Guillaume d’Aquitaine, Bernart de Ventadorn e atanti altri, è la stessa inchiesta cavalleresca di Lancillotto e Tristano, di Perceval e di Dante, che attraversano foreste e affrontano prove e sofferenze inenarrabili per ricongiungersi all’amata: straordinarie ricognizioni letterarie che esprimono e raccontano la ricerca dell’io che si spinge oltre i propri limiti individuali riconoscendosi nel dialogo infinito, nell’amore universale, nella struttura desiderante e nell’incessante divenire che diventa unità con altri esseri e il tutto. Per Theodore l’esperienza d’amore con Samantha è la stessa che vive Dante con Beatrice, una sorta di itinerarium mentis in deum, un viaggio che si svolge nell’immobilità della riflessione e del colloquio interiore. Samantha, quindi, è pura energia illuminante, e, come Beatrice, conduce Theodore verso la salvezza, lungo la via del sé, verso ‘l’amor che move il sole e le altre stelle’: l’immagine finale dei due amici, un uomo e una donna inquieti e sofferenti, che guardano la volta celeste seduti uno accanto all’altra, espressione congiunta di yin e yang, in cima a un grattacielo, finalmente pacificati con se stessi nella condivisione di una comune inchiesta.
“L’io, io! …il più lurido di tutti i pronomi” dice don Gonzalo Pirobutirro nella Cognizione del dolore di Gadda; ‘Je est un autre’, ‘io è un altro’, afferma Rimbaud nella Lettera del Veggente, Uno, nessuno, centomila’recita il titolo di un celebre romanzo di Pirandello: nella letteratura e nel pensiero occidentale riaffiora di continuo il tema della molteplicità fluttuante dell’io che cerca una sua stabilità avendo perduto la via della ricomposizione degli opposti. Nei percorsi della filosofia antica, nel biblico Cantico dei Cantici, nell’esperienza dei mistici, nella letteratura d’amore medievale la ricerca equivaleva proprio all’inchiesta amorosa come nel film bello e profondo di Spike Jonze.
http://www.ilpost.it/christianraimo/2014/03/16/her-il-film-carini/
questa recensione può essere un buon altro punto di vista…
Bella recensione. Non ho visto il film, che mi ricorda come trama la seconda puntata di una strepitosa fiction TV inglese, “Daily mirror” in cui lei continua a dialogare con il fidanzato morto attraverso un software in Rete fatto raccogliendo tutto ciò che lui aveva scritto. Mi limito a sottolineare quel passo in cui si parla della ricerca dell’ “io oltre l’individualità”: credo si tratti della ricerca più decisiva nella intera storia umana (percorso comune all’arte e alla mistica). La ricerca del sé, direbbe Jung. Non annullarsi ma guardarsi nella prospettiva del tutto. Scendere così tanto nella buia profondità dell’io, come un minatore, fino a trovare il noi, come una volta disse Caproni. La grande poesia parte dall’io più soggettivo ma poi è sempre impersonale. La lirica diventa epica della realtà.
Filippo