Da Reset-Dialogues on Civilizations
Due sono gli eventi nell’agenda della politica internazionale che hanno fatto tornare di stringente attualità la questione delle armi di distruzione massa: gli accordi sul nucleare di Teheran e la questione dello smaltimento degli arsenali chimici di Bashar Al Assad. E certo non a caso, lo scorso novembre, il premio Nobel per la pace è stato assegnato all’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Un tema ancora più attuale oggi, dopo lo scambio di colpi di artiglieria fra Corea del Nord e Corea del Sud, finiti nel Mar Giallo, mentre Pyongyang annuncia nuove esercitazioni. Che, al di là di proclami politici e di equilibrismi geopolitici, le armi di distruzione di massa siano un pericolo reale e concreto è convinto Gianluca Ansalone, esperto di sicurezza e di intelligence, docente di Strategia e relazioni internazionali presso l’Università La Sapienza di Roma e autore, fra gli altri, di Pianeta tossico, appena pubblicato da Castelvecchi. Un titolo piuttosto evocativo che descrive una realtà ancora “molto trascurata dalla comunità internazionale”. Perché?
Perché “il mondo – spiega l’autore – è ancora pieno di armi di distruzione di massa, chimiche, nucleari o batteriologiche. Non sempre gli Stati hanno il pieno controllo dei loro arsenali come accadeva nella Guerra Fredda e questo contribuisce ad aumentare il rischio.”
Una delle osservazioni più interessanti nel testo riguarda l’uso per così dire ubiquo delle armi di distruzione di massa: strumenti utili sia a entità statuali classiche, sia a gruppi non razionali. Ovviamente le finalità sono ben diverse.
Nel rapporto tra Stati ha sempre funzionato un principio di simmetria e di razionalità. Pensiamo ancora una volta alla Guerra Fredda: Stati Uniti e URSS competevano su tutto e si rincorrevano per mantenere sempre inalterato l’equilibrio strategico. Mosca mandava in orbita una cagnetta? L’America mandava l’uomo sulla Luna. Mosca stoccava centinaia di missili nucleari? Washington rispondeva con un migliaio di testate. Insomma: tutto doveva essere in equilibrio e nessuno doveva realmente prevalere. Oggi le condizioni sono molto diverse, le armi di distruzione di massa sono un moltiplicatore di potenza. Ma il principio di base rimane quello della razionalità. Ciò che sta accadendo in questi ultimi mesi con l’Iran lo dimostra.
In che modo?
Gli ayatollah perseguono da quasi un decennio l’arricchimento dell’uranio; ma sanno bene che non potranno mai usare realmente la bomba atomica, altrimenti sarebbero cancellati dalla carta geografica. L’atomica iraniana serve a rivendicare il ruolo che Teheran vuole avere in un Medio Oriente che cambia. Tanto è vero che, quando si sono creare le condizioni favorevoli, la mano tesa di Obama ha trovato qualcuno disponibile a stringerla. Il percorso sarà ancora pieno di insidie, ma siamo a un punto di svolta sul dossier iraniano: la razionalità sta prevalendo.
Diverso invece è il caso di attori che razionali non sono, attori che non vogliono il dialogo e non cercano l’affermazione di un ruolo ma vogliono solo distruggere, seminare caos. I movimenti terroristici cercano da sempre di impossessarsi di armi di distruzione di massa e non certo per sedersi al tavolo del negoziato ma per usarle. Lo hanno fatto in passato sette, gruppi di fanatici, terroristi fai da te. Organizzazioni più strutturate e meglio finanziate come al-Qaeda e le sue “filiali” regionali hanno dimostrato di poter organizzare attacchi più sofisticati e su scala più ampia.
Il caso della Corea del Nord, di cui ci ritroviamo a parlare proprio in questi giorni, è invece diverso?
Anche il caso nordcoreano rientra in uno schema più classico, per quanto preoccupante. Un Paese che per molti aspetti è fuori dalla storia, con un regime oppressivo e un’economia praticamente inesistente, riesce a far sedere allo stesso tavolo da decenni le principali potenze mondiali, dalla Cina agli Stati Uniti, facendo esplodere bombe atomiche. È la politica di potenza condotta con altri mezzi, mezzi molto pericolosi. L’Iran si è fermato un attimo prima, accettando il negoziato diplomatico. La Corea del Nord è alla ricerca di un ruolo di potenza e della continuità del regime, obiettivi che non potrebbe ottenere altrimenti, visti i fondamentali della propria economia.
Nel libro si parla di un mondo che sta mutando per ragioni legate non solo alla politica e all’economia, ma anche alle nuove tecnologie, in cui il monopolio del potere e della forza non è più in mano a pochi attori. In questa prospettiva quale sono le nuove sfide da affrontare in termini di sicurezza globale?
Con l’11 settembre 2001 siamo ufficialmente entrati nell’epoca della sicurezza asimmetrica. Gli Stati devono confrontarsi con la proliferazione di minacce che non hanno caratteristiche tradizionali. Sono minacce difficili da prevenire e da analizzare. Terrorismi di varia natura, cyber guerre, cambiamenti climatici, squilibri demografici ed energetici sono i nuovi protagonisti di un mondo che ha la sua cifra nella diffusione del potere. Siamo passati dall’epoca del Leviatano di Hobbes, del monopolio della forza, a quella del policentrismo, con centri di potere che spesso possono creare con mezzi diversi dagli eserciti danni comparabili a quelli di una guerra tradizionale. D’altronde, se oggi tutti gli utenti di Facebook a livello mondiale decidessero di autoproclamarsi Stato sovrano, questo sarebbe il terzo più popoloso del mondo, dopo Cina e India. Ogni giorno sono migliaia i tentativi di attacco cibernetico alle infrastrutture critiche dei nostri Paesi. Con un mouse e una tastiera si possono affondare colpi mortali alle nostre economie e alla sicurezza nazionale, come ha dimostrato l’attacco all’Estonia nel 2007. Il terrorismo fondamentalista, nonostante la morte di Osama Bin Laden, è ancora una minaccia molto presente. La rete di al-Qaeda si sta strutturando in un franchising estremamente violento e attivo, in Iraq, in Somalia o nel Mali. Con tutte queste minacce gli Stati nazionali si dovranno confrontare sempre di più in futuro.
E l’Italia, come sta affrontando le sfide della sicurezza?
L’Italia è parte integrante della comunità internazionale. È quindi esposta come altri Paesi a questo tipo di minacce e deve contribuire assieme agli altri attori alla pace e alla sicurezza internazionale. In questi ultimi anni sono stati fatti passi in avanti enormi sul fronte della prevenzione delle minacce asimmetriche: in materia di cyberwar, ad esempio, negli ultimi tempi è stato predisposto un efficace sistema di protezione delle infrastrutture critiche e degli interessi nazionali grazie al ruolo del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza (DIS). I nostri apparati di intelligence sono impegnati in una modernizzazione importante. E, nonostante le aspre divisioni politiche cui ci siamo abituati, alla fine tutte le forze in Parlamento hanno sempre votato a larga maggioranza il supporto alle missioni militari all’estero. Questo vuol dire che sta finalmente attecchendo quel principio di interesse nazionale che troppo a lungo, in passato, è stato un tabù. Nessun Paese oggi può pensare di intercettare le opportunità della globalizzazione o prevenire i rischi sistemici agendo sulla base dell’improvvisazione. Anche l’Italia, nel contesto europeo e transatlantico, ha ben presente le cose da fare. Quello che manca ancora è forse la sistematizzazione delle nostre priorità e la declinazione dell’interesse nazionale in questo nuovo secolo. Insomma: ci manca un documento che in altri Paesi è la base del dibattito e dell’azione pubblica, una Strategia di Sicurezza Nazionale. Un documento che permetterebbe tra l’altro di uscire dal circolo vizioso delle polemiche sulle spese per la Difesa e la sicurezza. È impossibile stabilire quanti aerei, quanti carri armati, quanti soldati dobbiamo tenere se prima non definiamo quale ruolo l’Italia deve avere nei prossimi anni. Ecco perché trovo particolarmente sensata la decisione assunta dall’ultimo Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale di avviare in tempi rapidi la scrittura di un Libro Bianco che individui le priorità operative della politica estera e di sicurezza dell’Italia.
Ultima questione, legata nuovamente all’attualità. Nel libro si chiama in causa più volte la Guerra Fredda. In questi giorni se ne è tornati a parlare in merito alla questione Ucraina e a ciò che è accaduto in Crimea. Definisci la Corea del Nord l’ultimo avamposto della Guerra Fredda. La Guerra Fredda quindi non è ancora finita?
Diciamo che non è finita per tutti nello stesso momento. È senz’altro finita per noi europei con la caduta del Muro di Berlino. Non è ancora finita per la Russia, che non accetta la perdita così ampia di sovranità territoriale dopo il collasso dell’URSS. Sta finendo adesso in Medio Oriente, dove autocrazie violente e corrotte sono rimaste al potere dei decenni solo perché il confronto bipolare le rendeva necessarie. Il risveglio arabo è innanzitutto il primo vero confronto tra le due principali anime dell’Islam, quella sunnita che fa capo all’Arabia Saudita e quella sciita, il cui faro è in Iran. Per molti decenni queste sensibilità sono rimaste congelate, oggi ritornano con prepotenza e purtroppo con violenza. Il Medio Oriente del futuro, in questo senso, non assomiglierà per nulla a quello attuale, forse anche sotto il profilo geografico. D’altronde lo abbiamo testimoniato con l’ex URSS. Non è da escludere che Paesi come la Siria o l’Iraq, le cui frontiere vennero tracciate a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale, si frammentino in micro-Stati confessionali. Sarebbe il colpo di coda della Guerra Fredda, una fase molto pericolosa che stiamo testimoniando, e che spetta alla comunità internazionale gestire nel migliore dei modi.
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Gianluca Ansalone – docente di Strategia e relazioni internazionali presso l’Università «La Sapienza» di Roma, è autore di numerose pubblicazioni sui temi del terrorismo e della sicurezza. Tra i principali volumi: Oltre l’Iraq (Memori, 2005), I Nuovi Imperi (Marsilio, 2008), Vent’anni senza Muro (Fuoco, 2009) e 11 settembre 2021 (Franco Angeli, 2011). È condirettore della Collana Tis (Terrorismo, Intelligence e Sicurezza) per l’editore Franco Angeli.
Nell’immagine: soldato dell’esercito siriano
Titolo: Pianeta tossico. Armi di distruzione di massa segreti e insidie
Autore: Gianluca Ansalone
Editore: Castelvecchi
Pagine: 142
Prezzo: 16 €
Anno di pubblicazione: 2014