Da Reset-Dialogues on Civilizations
Una su tre, vuol dire il 33%. Sono tutte le donne che in Europa hanno subito violenza nel corso della propria vita. È questa la fotografia della più grande indagine mai effettuata sulla violenza sulle donne realizzata in occasione dell’8 marzo dalla European Union Agency for Fundamental Rights, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. (qui il testo completo con tutti i parametri metodologici di riferimento). Numeri che, in coincidenza con l’International Women’s Day indetto dalle Nazioni Unite, ci mostrano come la questione della violenza di genere, fisica, sessuale, psicologica e domestica, sia di casa e ben radicata anche nel Vecchio Continente, ancora lontano dall’essere risolta e senza risparmiare nessuno. Il titolo del rapporto Violenza contro le donne: sempre e ovunque non è infatti scelto a caso perché la ricerca, presentata lo scorso 5 marzo, è frutto di un lavoro svolto in tutti i ventotto Stati Ue, su un campione selezionato casualmente di 1500 donne in ogni Paese (eccezion fatta per le 900 del più piccolo Lussemburgo), tra i 18 e i 74 anni, per un totale di 42mila persone interpellate. I quesiti riguardano le esperienze vissute a partire dai 15 anni all’interno delle mura domestiche, nell’ambito lavorativo, in pubblico e su internet, dove i social media sono diventati ormai un facile veicolo di molestie.
La completezza della ricerca deriva dal fatto che per la prima volta è stata condotta un’indagine unitaria, con i medesimi criteri, le stesse domande e nello stesso arco di tempo, e cioè da marzo a settembre 2012. Elementi che permettono comparazioni attendibili e, soprattutto, come spiega Morten Kjaerum, direttore della FRA, forniscono elementi che le istituzioni comunitarie e quelle delle singole nazioni non possono più ignorare. Soprattutto ora in vista delle elezioni del prossimo maggio.
Del resto, lo studio risponde a una richiesta dello stesso Europarlamento, avallata dal Consiglio dell’Unione europea nella prospettiva di dotarsi di strumenti giuridici, legislativi e sociali utili a contrastare il fenomeno. Da questo punto di vista, attualmente è la Convenzione di Istanbul adottata nel 2011 l’unico mezzo transnazionale che crea un quadro giuridicamente completo per difendere le donne e sanzionare le violazioni nei loro confronti che, però, per essere realmente efficace ha bisogno di essere ratificata dai parlamento dei singoli Paesi; l’Italia lo ha fatto definitivamente la scorsa estate.
“Dall’indagine – spiega Kjaerum – emerge la necessità di rafforzare le misure esistenti per contrastare la violenza contro le donne”, “una violazione dei diritti umani diffusa in tutti gli Stati membri dell’UE”, ma poco denunciata; solo nel 33% dei casi se a usare violenza è il partner e nel 26% se si tratta di un estraneo.
In questo ritratto impietoso, in cui non esistono Paesi virtuosi, ci sono però delle sorprese. Non positive. Perché a dispetto della convinzione che nel nord del mondo certe situazioni siano meno frequenti, per un’idea della donna più libera da retaggi culturali del passato, si scopre invece che il 52% delle donne danesi afferma di aver subito abusi fisici o sessuali, così il 47% delle finlandesi, il 46% delle svedesi e, scendendo nell’area mediterranea, il 44% delle francesi. L’Italia si pone a metà strada con il 27%. Percentuali inferiori si trovano in Polonia (con il 19%), in Austria (20%) e in Croazia (21%); ma anche questa non è necessariamente una buona notizia. Laddove i dati sembrerebbero incoraggianti, infatti, non è detto che la situazione sia effettivamente migliore: il numero delle denunce o delle ‘confessioni’, come nei casi delle interviste, dipende molto spesso da fattori culturali e dal livello di consapevolezza di sé e dei propri diritti che spingono a parlare più o meno apertamente degli abusi subiti.
Scendendo più nei dettagli si scopre che in Europa, nei 12 mesi precedenti l’indagine, circa 13 milioni di donne hanno subito violenza fisica, 3 milioni e 700mila della quali vera e propria violenza sessuale, mentre, dato ancora più allarmante, una donna su 20 (il 5 %) ha vissuto la drammatica esperienza dello stupro, è stata cioè forzata ad un rapporto sessuale non consenziente.
C’è poi un’altra forma di molestia, quella rappresentata dagli atti persecutori, che in molte legislazioni come quella italiana si riconoscono nella categoria dello stalking e che nell’Europa a Ventotto sembra aver interessato 9 milioni di donne solo nel corso dell’anno precedente alle interviste (cioè tra metà 2011 e 2012). Tra questi si annoverano anche gli abusi con le nuove tecnologie, subiti dall’11 % delle intervistate tramite social network, sms o via email.
Un quadro, questo, che al di là delle violenze vissute singolarmente si traduce anche in una percezione di insicurezza e vulnerabilità generale, anche da parte di chi non è stata vittima in prima persona perché, come conferma l’indagine del FRA, più della metà delle donne interpellate (53%) evita determinati luoghi o situazione, si autolimita dunque, per il timore di subire violenze fisiche o sessuali.
E se l’Unione Europea è invitata ora a riflettere non solo sulle sue politiche e sulla sua legislazione ma anche su una sfida più ampia che riguarda, come spiega Morten Kjaerum alla vigilia dell’8 marzo, “datori di lavoro, operatori sanitari, fornitori di servizi Internet e la polizia” nell’affrontare la violenza contro le donne, le Nazioni Unite sono chiamate, invece, a fare il punto sulla stessa questione a livello più globale. La deadline per gli otto Obiettivi del Millennio, uno dei quali, il terzo, riguarda proprio la promozione dei diritti delle donne, è infatti dietro l’angolo. Il 2015 è la data prevista per la realizzazione dell’ambizioso progetto dell’Onu e lunedì prossimo si aprirà, a New York, la 58sima assemblea della Commission on the Status of Women per chiarire dove siamo arrivati in tema di diritti e uguaglianza di genere.
Progressi sono stati fatti, ma per stessa ammissione del segretario generale dell’Onu,si tratta di passi avanti “ancora troppo lenti e irregolari”. E quel che resta, oltre che nel messaggio di Ban Ki mon, si legge anche tra le righe del rapporto del Fra: “una bambina nata oggi dovrà ancora affrontare disuguaglianza e discriminazione, non importa dove viva sua madre”.
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