Da Reset-Dialogues on Civilizations
Al Cairo è giunto il momento della “riconciliazione”. Non tanto fra le diverse anime politiche del Paese, ancora in aperto scontro, quanto piuttosto fra casse dello Stato e ricchi portafogli scappati all’estero nel 2011. Allora, infatti, mentre il presidente Hosni Mubarak crollava inaspettatamente dopo diciotto giorni di manifestazioni di piazza, gli uomini d’affari maggiormente compromessi con il suo regime facevano le valigie, portando appresso il maltolto accumulato in trent’anni di gozzoviglie. Niente di diverso da quanto accaduto in Tunisia, dove a scappare con bauli di gioielli e denaro contante fu pure la first lady. Ora, però, l’Egitto offre uno spettacolo inedito nel panorama delle rivoluzioni primaverili arabe: quello del ritorno dei ricchi esiliati, inclini, dopo un triennio esotico trascorso in lussuose dimore di vacanza, a restituire parte del bottino in cambio della piena archiviazione dei capi di imputazione a loro carico. Piena la disponibilità espressa dal direttorio militare che sta guidando il Paese dopo aver dato una spallata all’islamista Mohammed Morsi. A tal punto che, nelle dichiarazioni pubbliche, alti esponenti della compagine militare hanno utilizzato i termini “apertura”, “accordo” e, appunto, “riconciliazione”.
Fra i protagonisti di ieri – e forse anche di domani – Hussein Salem, proprietario di alberghi sul Mar Rosso, azionista di società energetiche semistatali e armatore. L’amicizia con la famiglia Mubarak gli fruttò il monopolio sull’export di gas liquido verso Giordania, Israele e Spagna, ma, secondo i giudici che si sono occupati di tale appalto dopo il 2011, ciò non gli bastò: per anni il gas fu venduto a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, intascando così la differenza in nero. Lo Stato egiziano, secondo la magistratura, avrebbe perso nell’operazione almeno 700 milioni di dollari. Sulla testa del miliardario e dei suoi due figli pesano dunque pene detentive per 22 anni e una multa di centinaia di milioni di dollari. Come tutti gli esponenti dell’alta borghesia egiziana, Salem possiede una doppia cittadinanza in un Paese sviluppato che non ha accordi giudiziari bilaterali, nel caso specifico la Spagna, dunque si trova attualmente nella residenza di Palma di Maiorca.
Ma la brusca destituzione della presidenza Morsi e la repressione dell’islam politico hanno ora creato le condizioni per il rientro: attraverso l’avvocato Tarek Abdel-Aziz, Salem ha annunciato il desiderio di fare ritorno in patria. Il progetto è stato ribadito nel corso di un talk show dell’emittente locale Cbc: al telefono, l’industriale ha chiesto che tutte le sentenze a suo carico pronunciate negli ultimi tre anni siano cancellate in cambio di milioni di dollari sonanti, visto che adesso “è finita l’era della corruzione e dell’ingiustizia”. Sic. Ecco la risposta di Hany Saleh, portavoce del governo di transizione: “Signor Hussein Salem e altri nobili uomini d’affari… la vostra iniziativa è veramente apprezzata”. E ancora: “Chiunque faccia una buona offerta, il minimo che possiamo fare è ascoltarlo per il meglio del nostro amato Paese”.
Secondo indiscrezioni, il primo ministro Hazem al-Beblawy, il ministro della Giustizia e il procuratore della Repubblica sarebbero impegnati, attraverso commissioni da loro nominate, a contrattare accordi simili con diversi pesi massimi dell’era Mubarak. L’idea di fondo è chiudere un occhio su corruzione e malversazione in cambio di capitali da investire subito nella ripresa economica: il re di Sharm el-Sheikh Salem, così era chiamato, ha offerto 3,5 milioni di dollari per rilanciare il turismo e riparare stazioni di polizia, chiese e moschee nella Penisola del Sinai, segnata da anni di scontri fra forze di sicurezza centrali e gruppi armati locali. Come hanno fatto notare osservatori interni della scena egiziana, la proposta del miliardario è drasticamente inferiore rispetto alla precedente, del maggio 2012: allora, si parlò di circa 800 milioni di dollari, pari alla metà del patrimonio stimato. La controparte era diversa, però: la Fratellanza musulmana aveva trionfato alle urne politiche e si apprestava a incassare anche la presidenza. Inoltre, il desiderio di trasparenza e giustizia sociale dell’opinione pubblica era vivido e per nulla incline ai compromessi. Tre anni dopo la prima rivoluzione egiziana, di fatto la posizione dell’Egitto nella classifica della Trasparenza è pure peggiorata (114 su 177 adesso, 112 su 183 nel 2011, Transparency International, ndr). E si prevede che presto i grandi nomi dell’industria egiziana compromessi con il passato regime ritorneranno sulla scena nazionale con tutti gli onori, avendo fatto affari con gli stessi militari che ora guidano il Paese.
Dopo Salem, un altro pezzo da novanta potrebbe essere Rachid Mohammed Rachid, già ministro del Commercio estero e dell’Industria sotto Mubarak: condannato a 20 anni di prigione sempre per distorsione di fondi pubblici, vive a Dubai dal 2011. Dovrebbe restituire 330 milioni di dollari, ma può essere che l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sissi si accontenti di molto di meno.
Per personaggi di tale calibro la posta in gioco è altissima: a parte le indagini in corso o le sentenze già pronunciate nel Paese d’origine, vi sono anche quelle internazionali e il congelamento di fondi esteri. Nel momento in cui Il Cairo decidesse per l’archiviazione e la riconciliazione, anche Svizzera, Stati Uniti, Lussemburgo e altri ancora non potrebbero che sbloccare i patrimoni depositati nei propri istituti bancari, una volta dichiarati leciti dallo stesso Egitto. Nella speranza, per niente nascosta dalla nuova dirigenza politica, che una grossa fetta di questi finisca nelle esangui casse dello Stato. La liquidità, infatti, è messa a dura prova: i risparmi delle famiglie egiziane depositati su conti correnti si sono dimezzati nell’arco di tre anni, così come gli investimenti stranieri.
Al momento, il nuovo ministro dell’Industria Fakry Abdel Nour è impegnato in una tournée europea per convincere gli interlocutori della sponda Nord del Mediterraneo che il clima politico-economico è di nuovo favorevole alle aziende interessate e che l’Egitto riprenderà la strada delle riforme democratiche.
A smentirlo l’arresto di quattro sostenitori di Hamdeen Sabbahi, fondatore del partito Corrente popolare. Terzo alle elezioni presidenziali del 2012, Sabbahi ha già espresso la volontà di correre contro il feldmaresciallo al-Sissi in aprile. Gli arrestati stavano attaccando un suo poster elettorale al Cairo.
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Nella foto: Il general Abdel Fattah El Sissi