Sono passati quasi tredici anni, da quel 1991 che ha segnato la fine dell’URSS e l’indipendenza dell’Ucraina, ma la mano pesante della Russia è sempre stata lì, sopra le teste degli ucraini e dei loro governanti, benché democraticamente eletti. Proprio contro questa ingerenza – e per una maggiore apertura verso l’Europa – gli ucraini sono scesi nelle piazze, lo scorso novembre, continuando a combattere – e a morire – per mesi in quella che i commentatori internazionali non sembrano avere dubbi nel definire una guerra. Semmai l’indecisione è se quello che è avvenuto per le strade di Kiev si possa etichettare più come una guerra civile o un nuovo capitolo della guerra fredda. Anche se in ritardo, infatti, le potenze occidentali hanno condannato la repressione del presidente Yanukovich, mentre la Russia gli firmava la seconda tranche dei 15 miliardi di dollari promessi come aiuto proprio in cambio della repressione del dissenso ad ogni costo. A ricordarlo, in un’analisi che ripercorre il ruolo della Russia su quanto sta accadendo a Kiev e dintorni, è Frida Ghitis, commentatrice di questioni internazionali, sul sito della CNN. “Forse nulla brucia agli Ucraini più dell’attitudine di Putin verso il loro paese. Nel 2008, quando l’allora presidente Viktor Yushchenko tentò di entrare nella NATO, Putin avvertì l’Occidente di tenere giù le mani dall’Ucraina, chiamandola ‘Piccola Russia’, un appellativo che risale ai tempi in cui gli zar della Russia imperiale governavano parte dell’Ucraina. Un quotidiano russo ha riportato che Putin disse all’allora Presidente George W. Bush, che ‘l’Ucraina non è neppure uno stato’.”
A chiedere all’Occidente di prendere una posizione netta è The Economist – perché al momento, la “guerra civile rimane una prospettiva realistica. La responsabilità immediata per questo caos ricade su Viktor Yanukovych, il bullo presidente dell’Ucraina. Ma il vero architetto siede al Cremlino: Vladimir Putin”. Su The Conversation, Michael Emerson accademico ed ex ambasciatore a Mosca, stila i provvedimenti che l’Europa potrebbe presumibilmente prendere nei confronti dell’Ucraina. Per quanto riguarda invece gli USA, Fareed Zakaria ha molte meno opzioni da proporre: “Possiamo fare davvero poco per l’Ucraina” – mentre su Politico viene proposto un mea culpa a lettori e giornalisti: prima chi se ne interessava di come stava l’Ucraina?
“La guerra fredda è ritornata e Mosca è ancora una volta l’avversario. L’unica differenza è che le armi sono cambiate”- così scrive lo Spiegel in un’analisi che tenta ambiziosamente di delineare “le implicazioni geopolitiche del conflitto in Ucraina”. E che questo potrebbe essere l’episodio finale della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, lo dice anche George F. Will, opinionista del Washington Post, che tira per la giacca Obama: “Lo stranamente loquace 44esimo presidente americano ricorda come le parole del 40esimo – ‘Buttate giù questo muro!’ hanno aiutato a vincerla?”.
Le Olimpiadi dello zar Putin
Ma c’è un filo rosso che lega gli sforzi degli europeisti ucraini agli sfarzi delle Olimpiadi Invernali di Sochi. Lo rende evidente la stessa Frida Ghitis sul sito della CNN, nell’analisi intitolata La “nuova” Russia a Sochi: la solita vecchia Russia in Ucraina. “Per Putin, mettere in scena delle Olimpiadi di successo è un modo per consolidare il potere e costruire la propria immagine agli occhi del pubblico interno e internazionale, così come di mostrare una Russia che rinasce, potente e sicura di sé, sotto il suo governo. Quello che succede in Ucraina è parte dello stesso obiettivo, ma è molto più importante”. Insomma, a Sochi come a Kiev, la sfida per il Presidente Putin è quella di “ritornare al ruolo ideologico giocato dalla Russia ai tempi degli zar” – scrive Ross Douthat sul New York Times. E che per lui i giochi veri inizino adesso che l’esperienza di Sochi2014 si è conclusa, lo ribadisce Fox News, disegnando un Putin intento nella “ricostruzione di un altro ‘impero russo’”: “Ha speso miliardi di dollari in delle Olimpiadi tutt’altro che strategiche. Quanto pensate che spenderebbe per tenersi stretta l’Ucraina?”
La crisi a Kiev in effetti è entrata a gamba tesa in quella che Safiah Chowdhury, su Al-Jazeera, presenta come l’Olimpiade più politicizzata della storia e nella quale c’era chi (come Jackson Diehl, sul Washington Post) già a inizio febbraio, presentava un Putin perdente, tra le stoccate omofobiche e il rischio terrorismo pronto a colpirlo alle spalle. E poco conta, alla fine, che nel medagliere la Russia si sia guadagnata un indiscutibile primo posto, staccando di misura Norvegia e Canada: “Sochi non è stato un trionfo” – ribadisce il Chicago Tribune.
Alla fine però, alla Russia di Putin le cose potevano andare peggio: almeno di fronte all’Onu, il Paese ha recuperato in extremis la faccia – sottolinea Foreign Policy – votando a favore della risoluzione dell’Onu per l’accesso immediato degli aiuti umanitari in Siria, alla vigilia della cerimonia di chiusura dei Giochi.
I guai dell’ObamaCare
Stephen Blackwood, preside di un college umanistico della Georgia, si lancia in accuse pesanti alla riforma della sanità fortemente voluta da Obama. Sul Wall Street Journal, parla di “ingiustizia” e di “disastro” nel racconto tagliente della storia della madre, malata di cancro: “L’ ObamaCare ha reso il vecchio piano (assicurativo, ndr.) di mia madre illegale e l’ha costretta a un altro piano che sta accelerando la sua malattia e la sua morte”. In effetti, tra ritardi, guasti e incidenti di percorso, l’Obamacare rischia di costare la faccia, al Presidente degli Stati Uniti. Come se non bastassero le smentite a cui i democratici sono costretti – come fa notare il National Journal – gli scivoloni del piano Obama vanno a vantaggio del GOP, nel gioco a somma zero della politica americana: “L’impatto maggiore che i ritardi avranno è politico – visto che aiutano i Repubblicani a rilanciare l’immagine di un’amministrazione Obama che non aveva ancora pronta la legge nel momento in cui ha messo la firma sull’iniziativa per la riforma della salute”, si legge su Politico. Mentre di avviso diverso si presenta, dalla sua column sul New York Times, Paul Krugman, puntando il dito contro i repubblicani rei di aver organizzato una comunicazione anti-ObamaCare basata sulla menzogna.
Questo matrimonio (gay) non s’ha da fare
Fa discutere la legge proposta nello Stato del Kansas, negli USA, che estende a fiorai, fotografi, pasticceri, sarti e chiunque altro presti servizio a un matrimonio, l’obiezione di coscienza di fronte a coppie di sposi omosessuali. La firma a calce del testo è quella di Jim Crow che, nel tentativo di tutelare la libertà religiosa degli individui, vorrebbe uno Stato tacitamente accondiscendente di fronte alla scelta di un pasticcere che si rifiuta di fare una torta di nozze con due sposi o due spose in marzapane. Questa ed altre leggi simili coprono la discriminazione con gli abiti della libertà di associazione e di religione – è il senso del commento pubblicato su The National Review Online, netto ma comunque edulcorato. Almeno se messo a confronto con quello di Mark Joseph Stern su Slate: “È un abominio”.
Scrittori moderni
“I freelance? Sono completamente svitati”. È evidente dal curriculum, che Noah Berlatsky, autore di Slate, The Atlantic, Reason e Splice Today oltre che del proprio blog The Hooded Utilitarian, difende la categoria. Merita comunque un accenno il suo sfogo – al limite dell’esercizio stilistico – su Slate, per spiegare gli effetti della monotonia culturale sugli scrittori. E sempre in prima persona, ma di una stoffa totalmente diversa sia per contenuti che per forma, il racconto autobiografico dello scrittore e ghostwriter scozzese Andrew O’Hagan, pubblicato sulla London Review of Books. Mentre per gli amanti dei trivia della letteratura fantascientifica vale una lettura il pezzo di Maria Popova sul suo Brain Pickings sul “Perché gli autori di fantascienza sono così bravi a predire il futuro”.