Da Reset-Dialogues on Civilizations
Le ruspe si sono fermate il 7 novembre, ma il governo turco non ha fatto marcia indietro. Ha soltanto sospeso la costruzione del muro “difensivo” al confine con la Siria, dove da 32 mesi infuria la guerra tra le truppe fedeli al presidente Bashar al Assad e i suoi oppositori. Una barriera alta due metri e sovrastata da un metro e mezzo di filo spinato, che separerà la cittadina di Nusaybin, nel distretto sud-orientale di Mardin, da quella siriana di Qamishli, distanti dieci chilometri e abitate da un’unica comunità di curdi che si è opposta al progetto. La barriera coprirà una piccola porzione dei 900 chilometri di confine tra i due Paesi, ma non ci sono informazioni precise sulla sua lunghezza. Per il momento sono stati eretti duecento metri.
Le ragioni di sicurezza – contrasto al contrabbando, agli ingressi illegali e allo sconfinamento dei ribelli siriani – evocate da Ankara per giustificare l’opera non hanno persuaso i curdi: Il “muro della vergogna”, dicono, ha l’unico scopo di dividere il popolo curdo, di separare le famiglie che vivono nella due città ed è una provocazione che mina il faticoso negoziato iniziato un anno fa per porre fine al trentennale conflitto tra il governo turco e il movimento armato clandestino Pkk-Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che ha fatto oltre 45.000 morti. A marzo Abdullah Ocalan, leader del Pkk che sconta l’ergastolo sull’isola di Imrali, ha proclamato una storica tregua e l’8 maggio ha ordinato il ritiro dei guerriglieri curdi dalla Turchia. Il governo di Recep Tayyip Erdogan, però, ha rafforzato la presenza militare nelle aree curde con la costruzione di 78 nuove stazioni militari, di cui 67 saranno terminate entro la fine dell’anno. Una provocazione, secondo i curdi, che ha messo in stallo il negoziato.
La polizia ha disperso con la forza le proteste degli abitanti di Nusaybin, ma la determinazione della sindaca Ayse Gokkan, eletta con l’80 per cento dei suffragi, ha fatto fermare almeno per il momento i cantieri. Accampata in uno dei numerosi campi minati al confine con la Siria senza mangiare né bere per nove giorni, è riuscita a portare la questione all’attenzione della stampa internazionale, denunciando di non essere stata neppure informata del progetto. “La costruzione di questo muro è un crimine”, ha detto al quotidiano britannico The Guardian, “quest’area è facile da controllare, ci sono campi minati ed è probabilmente uno dei posti più sicuri lungo il confine con la Siria. Perché non costruirlo più a ovest, dove i ribelli siriani e i combattenti di al Qaeda attraversano liberamente il confine?”. Per la porosa frontiera turca passano armi e combattenti, e il governo turco è accusato di chiudere gli occhi su questi traffici e di foraggiare le fazioni ribelli che combattono contro Assad, acerrimo nemico di Erdogan.
Dietro le ragioni di sicurezza si cela il timore di Ankara per una ripresa delle velleità indipendentiste dei curdi (20 percento dei circa 70 milioni di abitanti), sulla spinta delle conquiste dei curdi siriani cui Assad ha lasciato mano libera dall’inizio del conflitto: hanno una funzione anti-jihadista e non sono totalmente allineati ai ribelli. Nelle ultime settimane il Partito dell’Unione democratica (Pyd) di Saleh Muslim, il braccio siriano del Pkk, ha sconfitto i gruppi di al Qaeda e controlla le zone curde della Siria settentrionale, dove ha anche annunciato la creazione di un’amministrazione autonoma. Una mossa che ha innervosito le altre formazioni ribelli, peraltro frastagliate in una galassia di sigle con una elevata presenza di jihadisti, ed è stata subito denunciata dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu. Dopo la quasi indipendenza dei curdi iracheni, ottenuta con un referendum nel 2005, la prospettiva che l’obiettivo sia centrato anche dai curdi siriani apre a scenari da brivido per l’esecutivo turco e probabilmente alimenta il sogno del Grande Kurdistan tra i curdi.
Ankara ha sempre usato il pugno duro contro la cospicua minoranza curda, cui è negato persino il diritto alla propria lingua nelle scuole. A metà novembre la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto colpevole la Turchia di avere ordinato il bombardamento dei due villaggi curdi di Kuskonar e Kocagi nel 1994, che fece 33 morti e non è stato l’unico episodio negli ultimi trenta anni. E neanche il pacchetto di riforme presentato da Erdogan all’inizio di ottobre come una “svolta storica” ha in realtà modificato la condizione di cittadini di serie B dei curdi: il ripristino del nome originario di alcune località curde, la reintroduzione delle lettere ‘q, w, t’ bandite dall’alfabeto turco ai tempi di Ataturk, la promessa dell’apertura di un tavolo per abbassare sotto l’attuale 10 percento la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento sono considerate misure simboliche. Il premier ha infatti ignorato le annose rivendicazioni dei curdi, tra cui il rifermento esplicito all’identità curda nella Costituzione in fase di scrittura e la revisione delle leggi antiterrorismo che tengono in carcere migliaia di militanti.
La questione curda agita Ankara che vuole affermare la sua potenza sullo scacchiere regionale. Se al confine con la Siria Erdogan pone ragioni di sicurezza per alzare il muro e spezzare i legami tra Nusaybin e Qamishli, sull’altro confine, quello con l’Iraq, lavora per dividere i curdi iracheni e quelli siriani, con l’effetto di indebolire quelli turchi. Ha aperto a una storica alleanza con l’ex guerrigliero, e dunque ex nemico, e ora segretario del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e presidente del Kurdistan iracheno (Krg), Massud Barzani, che è in aperto contrasto con Muslim e ha tentato di tagliare i rifornimenti alle sue milizie chiudendo le frontiere. Il premier turco e il presidente della regione autonoma nel Nord dell’Iraq si sono incontrati a metà novembre nella città di Diyarbakir, la potenziale capitale di un futuro Kurdistan riunito. All’interesse della Turchia, in pieno boom economico ma priva di risorse proprie, per il gas e il petrolio curdo-iracheno si somma il valore strategico di questa alleanza, fa notare Sedat Ergin sul quotidiano turco Hurriyet, che rafforza Ankara nel negoziato con il Pkk e sostiene la leadership di Barzani su tutti i curdi.
In vista del doppio appuntamento elettorale del 2014, amministrative e presidenziali, Erdogan cerca di sottrarre voti al Partito della Democrazia e della Pace (Bdp), unica forza politica curda presente nel Parlamento turco, puntando all’elettorato curdo più conservatore e agli indecisi e ha usato come sponsor Barzani, incontrandolo per di più nella città roccaforte del Bdp. Inoltre, questa alleanza mette al riparo il premier turco dalle critiche sullo stallo del processo di pace. L’analista Ergin fa notare che il presidente del Kurdistan iracheno ha bisogno di Ankara per commerciare gas e petrolio, ma anche per affermare la sua leadership tra i curdi in contrapposizione a quella di Ocalan. Una rivalità che in Siria è diventata lotta per il potere tra il Pdk di Barzani e il Pyd di Muslim legato al Pkk. Rivalità e contrapposizioni interne al mondo curdo che giocano a favore di Ergogan.
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Nella foto: la zona di Nusaybin