Da Reset-Dialogues on Civilizations
La firma dell’Accordo di Associazione era una speranza con riserva. E infatti il summit di Vilnius del 28 e 29 novembre si è concluso senza che l’Ucraina mettesse nero su bianco la volontà di intraprendere un rapporto privilegiato con l’Unione Europea. Il presidente Yanukovich ha deciso di prendere tempo, e ha lasciato contemporaneamente una porta aperta nella direzione di Bruxelles senza chiudere il portone che lo separa da Mosca, sua principale fonte di approvvigionamento energetico.
L’economia di Kiev e la sua dipendenza dalla Russia scontano ancora la transizione dal sistema socialista al libero mercato. Il primo programma di liberalizzazione promosso nel 1994 dall’allora presidente Kučma, appoggiato dal Fondo Monetario Internazionale, dagli Usa e da altri paesi occidentali non ha mai dato i risultati sperati, perché la resistenza dell’élite politica legata agli schemi del passato ha sempre frenato il percorso di progressiva liberalizzazione e la fine di una pianificazione centralizzata.
L’Ucraina possiede vasti giacimenti di carbone e minerali di ferro, e riesce a garantirsi la materia prima per l’industria siderurgica. Il settore termonucleare continua a produrre, nonostante Chernobyl, un quarto dell’energia totale, mentre le riserve di gas e petrolio sono totalmente insufficienti. Ed è qui che entra in gioco la Russia: ad oggi il 60% del gas utilizzato nel paese arriva da Mosca attraverso Gazprom, e il debito di Kiev con il colosso energetico è di 1,3 miliardi di dollari. Perciò se l’Ucraina accetta di far parte dell’Unione Doganale guidata dalla Russia insieme a Bielorussia e Kazakistan, in cambio potrebbe ottenere uno sconto sulle tariffe. E non sarebbe questione da poco, considerato che nel secondo trimestre di quest’anno è entrata in recessione per la terza volta dal 2008.
Intanto, da quando è scoppiata la crisi cinque anni fa, Kiev ha ottenuto anche gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, con il contributo dell’Unione Europea. Poco tempo fa, in cambio di 15 miliardi di dollari di prestito l’Fmi ha chiesto garanzie su riforme e politiche energetiche: saltata la firma dell’Accordo di Associazione con l’Ue è saltata anche la trattativa per l’erogazione degli ultimi fondi richiesti. Eppure la sottoscrizione del documento avrebbe assicurato prestiti alle banche ucraine e relazioni commerciali dirette e privilegiate con i paesi dell’Unione. I benefici si sarebbero visti solo nel lungo periodo e non nell’immediato. E nel frattempo il contraccolpo della perdita delle relazioni privilegiate con Mosca avrebbe probabilmente decretato la bancarotta.
L’Ucraina intanto appare divisa a metà. Da settimane le piazze si riempiono di gente che invoca l’accordo con l’Europa. Ci sono stati duri scontri con le forze di polizia, ma chi si oppone a Yanukovich e alla sua politica ha resistito. Ieri a Kiev è pure “caduta” la statua di Lenin, abbattuta dalla folla e decapitata a martellate. Una parte del paese si considera parte dell’Europa, ed è quello che scende in piazza, l’altra parte resta di fatto legata alla Russia, soprattutto nella zona orientale del paese dove i rapporti commerciali sono diretti e aziende e fabbriche sono ancorate economicamente al vecchio schema delle influenze.
Ma qual è l’Ucraina che invoca la fine del potere attuale e chiede un avvicinamento all’Ue? L’europeismo ucraino sembra saldarsi con il nazionalismo e soprattutto con la voglia di prendere le distanze da Mosca, con qualsiasi possibile alternativa. Uno dei leader di questa opposizione, Vitali Klitschko, è già da solo un pezzo di storia da raccontare, prima che nell’arena politica dentro a un ring. Ex pugile di successo, ha fondato il partito Udar e nel 2012 si è presentato alle elezioni e ha ottenuto 40 seggi in Parlamento. Oggi si dice sia pronto a correre contro Yanukovich nel 2015.
Un’altra figura storica dell’opposizione si trova in carcere ed è Jiulia Tymoshenko, paladina della rivoluzione arancione del 2004, due volte primo ministro, arrestata nel 2011 per aver stipulato con la Russia un contratto per la fornitura di gas senza il consenso del suo Governo. Nel 2012 la Corte Suprema ha confermato la sua condanna a sette anni per abuso d’ufficio. Un anno dopo, nell’aprile scorso, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sull’illegittimità della detenzione, dopo che l’ex premier ha più volte denunciato problemi di salute e aggressioni. Anche la trattativa per la possibile scarcerazione della Tymoshenko rientrava negli accordi con l’Ue, e conseguentemente si è fermata a Vilnius. L’ex premier intanto ha rivolto un appello all’opposizione in piazza, letto dalla figlia Yevguenia, affinché non ceda alle lusinghe del Governo e non si sieda a trattare con Yanukovich.
In quella stessa piazza c’è anche Svoboda, partito fortemente nazionalista ai limiti dell’antisemitismo, che alle elezioni del 2012 è riuscito a entrare in Parlamento e che oggi è in prima linea nell’organizzazione delle proteste anti governo. E che consolidando i consensi sta creando un terzo blocco che non fa capo né al pugile né alla “pasionaria” di Kiev.
Ma quanto potere avranno queste forze i opposizione per contrastare i giochi di potere e di influenza su larga scala? L’Unione Doganale che la Russia ha in mente di allargare all’Ucraina e che negli Usa è stata già ribattezzata dalla Clinton “processo di risovietizzazione”, rappresenta di fatto un blocco antagonista dell’Unione Europea sul piano economico e geopolitico. Nel giugno scorso il Governo aveva approvato una bozza di memorandum per entrare nell’Unione, e il nodo di scambio, anche allora, era lo sconto sulla tariffa del gas importato. Un modo per lasciare aperte le porte con la Russia, e prendere tempo con l’Europa. E rimandare a data da destinarsi ogni decisione. Prima che come oggi si dovessero fare i conti con la piazza.
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Nella foto: proteste a Kiev a inizio Dicembre