Prima è stato il rapporto di Reporters sans Frontières a posizionare il nostro Paese al 57simo posto tra quelli con “problemi sensibili”, e precedentemente erano stati il Consiglio d’Europa e l’Osce a dare l’allarme. Ora tocca direttamente alle Nazioni Unite tirare le orecchie alle autorità italiane e a lanciare un monito: l’Italia ha bisogno di rendere più democratiche le sue leggi sui media e sull’informazione.
A farlo è stato Frank La Rue, avvocato guatemalteco specializzato nella difesa dei diritti umani e Relatore Speciale dell’Onu sul diritto alla libertà di opinione e di espressione, al termine della sua visita ufficiale in Italia, durante la quali ha incontrato funzionari governativi, i presidenti di Camera e Senato, il ministro Cécile Kyenge, membri della magistratura, giornalisti e rappresentanti della società civile, per discutere di un tema che nel nostro Paese è evidentemente delicato.
I problemi principali restano gli stessi messi in evidenza negli ultimi anni da Rsf e riguardano in particolare la concentrazione dei media in mano di singoli gruppi, l’incompatibilità fra cariche elettive, di governo e proprietà di mezzi di comunicazione, la mancanza di pluralismo, la criminalizzazione della diffamazione a mezzo stampa e le minacce, dirette e indirette, all’esercizio della libera informazione. Ma ancora, a sollevare le perplessità di La Rue e a suscitare le raccomandazioni che saranno inserite, poi, nel rapporto che presenterà il prossimo giugno al Consiglio dei Diritti Umani, sono anche altre anomalie tutte italiane come la mancanza di trasparenza e autonomia dalla politica nelle nomine dei membri del CdA della Rai, così come l’ambiguità del ruolo di Agcom e la debolezza dei giornalisti vittime di pressioni e intimidazioni o, ancora, la tendenza a utilizzare linguaggi e toni che incitano all’odio e alla violenza nei confronti delle minoranze. Tutti elementi tipici del sistema Italia che contrastano, però, con l’immagine di Paese occidentale, democratico e liberale, membro attivo del consesso internazionale.
Opinione pubblica tra trust, mancanza di trasparenza e accesso alle informazioni
Uno dei punti su cui si è concentrato La Rue riguarda la trasparenza e la credibilità per tutte le istituzioni dello Stato; un discorso che va di pari passo con la possibilità dei singoli cittadini di accedere alle informazioni degli Enti Pubblici per cui è stato firmato lo scorso marzo il cosiddetto Decreto Trasparenza. Una normativa che però, secondo la Rue (e stando a quanto riportato anche dal centro studi del Dipartimento della Funzione Pubblica che ci parla di un 30% di enti non ancora adeguati alle nuove regole, senza contare chi lo ha fatto solo parzialmente) non è abbastanza. In nome del bene comune, ha ricordato il rappresentante delle Nazioni Unite, “tutte le attività delle istituzioni dello stato dovrebbero essere oggetto di informazioni pubbliche oltre che facilmente accessibili a tutti ai fini del monitoraggio, con limiti eccezioni per le comunicazioni diplomatiche, le indagini penali condotte dall’autorità giudiziaria, la tutela dei minori e le operazioni di sicurezza nazionali”. Una raccomandazione che ben si accosta con la richiesta di trasparenza anche nelle nomine e nella selezione di membri dei consigli di amministrazione: vedi il caso Rai i cui rappresentanti del CdA (due su nove) sono designati dal governo. La Rai è chiamata in ballo anche in tema di mancanza di indipendenza dallo Stato con l’esortazione che sia “sottoposta a un ente indipendente”.
Ma le categoria della “trasparenza” e del “pluralismo” tornano ripetutamente nella relazione del delegato dell’Onu. Ad esempio, per quel che riguarda le informazioni “sulla proprietà e sulle fonti di reddito dei mezzi di comunicazione” che permettono “di interpretare meglio le posizioni dei media” e di formarsi un’opinione pubblica e politica più consapevole. Conoscere è uno strumento essenziale per scegliere e uno dei principi base in democrazia. Su questo si era espressa nel 2005 anche la Commissione di Venezia del Consiglio D’Europa (in particolare sull’assetto del sistema radiotelevisivo e sul conflitto di interessi ). E ora, dopo la modifica alla legge Gasparri, introdotta nel 2012, la concentrazione dei mass media in mano a pochi pare addirittura più facile, consentendo ai gruppi già proprietari di mezzi radio-televisivi di espandersi alla carta stampata, con un grave danno per il pluralismo dell’informazione e con un conseguente condizionamento nell’accesso alle informazioni da parte dei cittadini.
Diffamazione, minacce e compensi bassi: il lavoro dei giornalisti
Spostando la prospettiva, il tema della formazione di un’opinione pubblica libera e consapevole si riflette sul lavoro dei giornalisti e sulla possibilità di svolgerlo nel migliore dei modi. La Rue ha stigmatizzato il fatto che la diffamazione in Italia sia un reato rimasto nell’ambito penale perché, “seppur senza la previsione di una pena detentiva”, qualunque querela penale può avere “effetto intimidatorio sui giornalisti”.
Anche in questo caso, ad essere tirato in ballo è il consiglio d’Europa che nel 2007 aveva già raccomandato “la completa depenalizzazione della diffamazione per la protezione della libertà di espressione”.
Lo stesso discorso vale per le sanzioni economiche eccessive che possono avere ugualmente l’effetto di limitare l’esercizio della libertà di espressione. Basti pensare ai casi sempre più frequenti, nel mercato del lavoro italiano, di giornalisti freelance o collaboratori che non godono della copertura economica e legale delle testate e che, come ricorda La Rue “con sconcerto”, ricevono un compenso “estremamente basso” per il loro lavoro. Questo, assieme alla criminalizzazione del reato a mezzo stampa e alle minacce, le intimidazioni e le aggressioni subite in Italia funzionano da deterrenza nei confronti della libertà di informazione anche meglio di espliciti sistemi censori. In Italia, secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Ossigeno, che da anni si occupa dei giornalisti minacciati, dal 2006 a oggi sono stati 1486 i colleghi che hanno denunciato di aver subito violenze o pressioni; una situazione che nel 2011 aveva fatto allertare anche Dunja Mijatovic, rappresentante per la Libertà dei Media dell’OSCE.
Insomma, ce n’è un po’ per tutti e sebbene l’unico attenuante agli occhi dell’inviato delle Nazioni Unite pare essere il fatto che l’Italia stia “attraversando un periodo di transizione”, resta che le autorità italiane hanno bisogno di incoraggiamento delle Nazioni Unite per “rafforzare i diritti umani e le libertà fondamentali” e che, sempre per parlare di come ci vedono da fuori, secondo la classifica di Freedom House sullo stesso tema, l’Italia è un Paese solo “parzialmente libero”.