Corriere della Sera: “Napolitano contro il Pdl: nessun golpe”, “Letta sale oggi al Colle e chiede un chiarimento pubblico: umiliata l’Italia”.
A centro pagina: Telecom, mossa del governo per fermare gli spagnoli: più poteri con un decreto”.
La Repubblica: “Napolitano, schiaffo a Berlusconi”, “’Assurdo parlare di golpe, non mi farò condizionare’. Pdl contro il Colle”.
In taglio basso: “Corsa a blindare Telecom, il Tesoro frena sull’Opa”.
La Stampa: “Letta: il Pdl umilia l’Italia”. “Il premier oggi inconterà Napolitano: ‘Subito un chiarimento in Aula’. Ipotesi fiducia. Il Colle su Berlusconi: assurdo evocare il golpe, le dimissioni di massa fatto inquietante”.
Il Sole 24 Ore: “Effetto-crisi su Borsa e spread”, “L’offensiva del Pdl spaventa i mercati: Piazza Affari peggiore listino in Europa (-1,2&), i tassi dei Btp decennali salgono al 4,33%, pioggia di vendite sui titoli bancari”, “L’Italia tiene solo in asta: rendimenti BoT a 6 mesi in calo allo 0,781%”.
Di spalla: “Napolitano, stop a Berlusconi. Letta: verifica in Parlamento”. E ancora, al corrispondenza da New York: “L’ira del premier dagli Usa: hanno umiliato l’Italia”.
In taglio basso: “Telecom, governo all’offensiva”.
Il Giornale apre con una “lettera aperta a Napolitano” firmata da Renato Brunetta e Renato Schifani: “L’unica via d’uscita a questo caos è scritta nella Costituzione. Basta applicarla”, dove si fa riferimento alla legge Severino e al possibile ricorso da parte del Parlamento alla Consulta per verificarne la costituzionalità
Libero: “La colpa del nonno. Napolitano si scaglia contro il Pdl e minaccia di dimettersi, ma non ha alcun diritto di bollare la decisione dei parlamentari di farsi da parte. Rifletta piuttosto su quanto poteva fare (e non ha fatto) per impedire che si giungesse a questo punto”.
Il Fatto quotidiano: “L’ha scoperto anche Letta. ‘B e Pdl umiliano l’Italia’. Il premier risponde al ricatto del Caimano sulle dimissioni in blocco dei parlamentari e lo sfida in Parlamento: pronto a chiedere la fiducia. Anche per il Colle il condannato ha superato il limite: assurdo parlare di Golpe. ‘Non posso intervenire sulle decisioni della magistratura”.
Anche L’Unità dedica il titolo a Letta (“Berlusconi umilia l’Italia”), mentre a centro pagina si occupa del “Pdl spaccato”, che “segue la ‘follia’ del Cav”.
Secondo Il Foglio “Così Letta e Napolitano si preparano a spegnere i fuochi di fine Cav. Il Quirinale censura il Pdl dimissionario che grida al golpe, il premier rientra da NY per chiedere la fiducia in Aula”. “Che succede dopo la sfiducia”.
Napolitano, Berlusconi, Pdl, governo
Spiega il Corriere della Sera che dopo l’annuncio di dimissioni di massa dal Parlamento degli eletti Pdl, il capo dello Stato è intervenuto con durezza, attraverso una nota, definendo “inquietante” questa decisione e stigmatizzando l’evocazione di un “colpo di Stato” in relazione alla questione della sentenza della Cassazione e della decadenza del leader Silvio Berlusconi.
Il Presidente definisce “inquietante l’annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento – ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili di tutti gli eletti del Pdl”. Se avvenisse, si legge ancora nella nota, “ciò configurerebbe l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere”. “Non meno inquietante” è stata definita dal Capo dello Stato l’ipotesi che le dimissioni siano state decise “al fine di esercitare una estrema pressione sul Capo dello Stato per il piùù ravvicinato scioglimento delle Camere. C’è ancora tempo, e mi auguro che se ne faccia buon uso, per trovare il modo di esprimere, se questa è la volontà dei Parlamentari del Pdl, la loro vicinanza politica e umana al Presidente del Pdl, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento”.
“Non occorre poi neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un ‘colpo di Stato” o una ‘operazione eversiva in atto contro il leader del PdL. L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come lo è la non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria”, ha scritto Napolitano.
Il Corriere scrive anche che ieri si sono sentiti più volte via telefono il Presidente e un Enrico Letta che si è detto “umiliato” per quel che riguarda l’Italia, ed oggi pomeriggio, al ritorno da New York, lo stesso Letta salirà al Colle: con lo scopo di determinare insieme, secondo il Corriere, la strada per arrivare ad un chiarimento urgente, probabilmente attraverso un voto di fiducia da calendarizzare prima della data spartiacque del 4 ottobre, giorno in cui è previsto il voto in Giunta del Senato sulla decadenza di Berlusconi. Ma di sciogliere le Camere non se ne parla, scrive ancora il Corriere. Le ipotizzate dimissioni di Napolitano sarebbero poi considerate al Colle una follia, un’Armageddon istituzionale.
In prima pagina su Il Giornale il direttore Alessandro Sallusti scrive che Napolitano, “rimasto col cerino in mano”, “si agita, grida al golpe, e minaccia la sovranità dei parlamentari di centrodestra, lui che neppure è eletto, ma solo nominato”. E il quotidiano pubblica la lettera che i capigruppo di Forza Italia alla Camera e al Senato Brunetta e Schifani hanno indirizzato al Presidente della Repubblica. Parlando della riunione dei gruppi in cui sono state decise le dimissioni in massa degli eletti, e spiegano: “L’assemblea non era finalizzata né ad esprimere decisioni sul governo del Paese né, tantomeno, anche per l’evidente illegittimità di una simile ipotesi, ad assumere orientamenti operativi sulle decisioni della magistratura o sulle prerogative del Capo dello Stato. Né la riunione era istituzionalmente volta a manifestare solidarietà al Presidente Berlusconi, parlamentare anch’egli e leader del Partito, pur essendo questa una eventualità che non costituirebbe, come è di tutta evidenza, alcuna ipotesi di comportamento inappropriato o ingiustificabile” da parte di coloro che condividono con il Presidente Berlusconi i medesimi orientamenti politici.
Oggetto della riunione, spiegano i due capigruppo, riguardava l’atteggiamento da assumere, come si addice a parlamentari che godano delle guarentigie dell’articolo 67 della Costituzione, rispetto all’orientamento del Senato della Repubblica in relazione alle decisioni che dovrà assumere sull’applicazione a Berlusconi della cosiddetta legge Severino: “In particolare, si tratta, come ella sa, di una pronunzia che il Senato dovrà assumere nella propria qualità di organo della verifica dei poteri ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione, qualità che, secondo costante orientamento della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, costituisce esercizio, seppure speciale, di funzioni giurisdizionali”. E secondo i due capigruppo le leggi impongono che qualsiasi organo eserciti le funzioni giurisdizionali sia tenuto, allorché ritenga una questione di legittimità rilevante, e non manifestamente infondata, a investirne la Corte Costituzionale. Brunetta e Schifani ricordano che molti giuristi hanno espresso dubbi di legittimità costituzionale sulla applicazione della legge Severino al caso Berlusconi, e scrivono che “il rifiuto di ascoltare questi dubbi” è stato ritenuto dai partecipanti alla riunione di Forza Italia, “una inaccettabile negazione dello Stato costituzionale di diritto, tale da rendere intollerabile la permanenza in un Parlamento che si dimostrasse così sordo alle ragioni della legalità”.
Il Fatto titola: “Il Colle rompe la trattativa: non interferisco con i giudici”.
Su Libero: “Gara nel Pdl per firmare le dimissioni preventive”. E non mancano le foto che immortalano alcuni parlamentari Pdl impegnati a firmare la lettera di dimissioni: “tutti i ministri, deputati e senatori, si compattano attorno al leader. Ma non mancano i mal di pancia di chi ritiene inopportuno far saltare le grandi intese”, titola il quotidiano, che dà conto anche di quel che definisce “l’incubo dei peones”, coloro che tanto hanno fatto per essere eletti. Per non parlare degli eterni frustrati del potere, che nelle ultime 48 ore stanno bombardando le redazioni amiche con domande relative a a un loro possibile subentro in caso di dimisisoni dell’eletto (il partito vuole il patto d’onore anche dai primi non eletti, titola il quotidiano).
Su Il Giornale: “Il giorno dei falchi. Firmate le dimissioni”, e nella pagina di fianco: “L’ambiguo volo delle colombe Pdl”, con una foto che ritrae i ministri delle riforme Quagliariello e delle Infrastrutture Lupi. Si scrive che nell’ala morbida cresce la convinzione che le dimissioni siano un autogol, e si evidenziano le dichiarazioni di Quagliariello sulle dimissioni (“Si danno, non si annunciano”). Il quotidiano spiega che le colombe sperano in un intervento all’ultimo minuto di Giorgio Napolitano, ricordano che il 3 ottobre arriverà la legge di stabilità, paventano il pericolo di un clamoroso assist offerto a Matteo Renzi. Non hanno tuttavia intenzione di tradire il vincolo di fedeltà verso il loro leader. L’articolo ricorda pure che le dimissioni si possono ritirare fino a un attimo prima del voto in Aula.
Secondo Il Foglio nei prossimi giorni “ci sarà un voto di fiducia, forse, e il Pdl, sussurrano con una punta di compiacimento i falchi, come Denis Verdini, voteranno contro il governo. Letta sfiduciato, poi consultazioni, forse un reincarico allo stesso Letta per la formazione d’un nuovo governo con una nuova, fragilissima, maggioranza. E nel frattempo, ammesso che tutti s’incastri come vuole Napolitano, che succede? ?Nel frattempo tutto sa e parla di sfacelo’, dice al Foglio un ministro Pdl. ‘Berlusconi sarà fuori dal Parlamento anche con la crisi di governo. E non rischiam che ci facciano la riforma della legge elettorale, consegnandoci a una spaventosa sconfitta nelle urne’. Germogliano così, di fronte a queste ombre, anche sotterranee e sfibrate speranze di ricomposizione. Ma Brunetta dice di no, ‘andiamo avanti’. Galera per galera, tanto vale lottare prima di morire, pensa il Cavaliere”.
Secondo un retroscena pubblicato da La Repubblica il Cavaliere “vuole tirare dritto” e non avrebbe intenzione di dare una nuova fiducia. Scrive il quotidiano che l’ultima strada per evitare una catastrofe è stata suggerita da Angelino Alfano al Presidente del Consiglio Letta: si tratterebbe di un decreto del governo che interpreti in maniera non retroattiva le norme della legge Severino. E parlando di Schifani e Brunetta, si scrive che entrambi ancora sperano che nel Pd si apra una crepa.
Libero intervista il senatore Pdl Maurizio Gasparri e gli chiede se i parlamentari voteranno la sfiducia al governo: “Non sono in grado di rispondere – dice Gasparri – ma mi pare che sia difficile evitare il coinvolgimento dell’esecutivo”. Daranno la colpa al Pdl se torna l’Imu. Gasparri: “I decreti possono essere approvati anche se le Camere sono sciolte”.
Anche per La Stampa l’orientamento di Berluconi sarebbe il seguente: “Se Letta chiede la fiducia facciamo affondare la nave”. Perché l’idea del Cavaliere, avendo perso ogni speranza, sarebbe quel di far morire Sansone con tutti i filistei: paralizzare il Parlamento con le dimissioni dei senatori e dei deputati, puntare tutto sulle elezioni anticipate, in modo da rinviare il più possibile la decadenza.
Stato-Mafia
Il Fatto è il quotidiano che dedica più attenzione al processo a Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia. I pm del capoluogo siciliano hanno chiesto che il presidente Napolitano deponga in Aula perché considerano la sua testimonianza “pertinente e rilevante”. Ritengono che il capo dello Stato sia l’unico a poter spiegare i timori esternati dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio che, nella lettera del 18 giugno 2012, poco prima di morire per un infarto, scrisse di sentirsi come “un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Alla richiesta dei pm si è immediatamente opposto l’Avvocato dello Stato, che ha chiesto di espellere dal processo tutti i testimoni (ce ne sono altri 177 nella lista depositata la scorsa primavera) di quello che Il Fatto chiama il “romanzo criminale”. Dagli ex pg di Cassazione Esposito all’ex capo della Dna Grasso, al’ex segretario generale del Quirinale Donato Marra.
Sul Corriere della Sera: “Trattativa Stato-Mafia, duello su Napolitano, Ingroia di nuovo in Aula”. L’ex pm indossa infatti la toga, come avvocato di parte civile. L’iscrizione di Ingroia all’albo degli avvocati del foro di Roma risale all’altroieri, così come la nomina da parte della Associazione dei familiari delle vittime della strage di Firenze. Per parte sua l’avvocato dello Stato, che per conto della Presidenza del consiglio e della Regione sicilia si oppone alla richiesta dei Pm di convocare Napolitano, si è appellato alla recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha stabilito che “un principio di riservatezza assoluta” copre ogni attività, anche informale, del Presidente della Repubblica, il quale, secondo l’avvocato dello Stato, avrebbe il diritto di tacere. E in ogni caso eventuali dichiarazioni del Presidente su “sensazioni e impressioni del dottor d’Ambrosio sarebbero “scarsamente pertinenti e superflue rispetto alla materia del processo”. Contrari alla deposizione di Napolitano sono anche i difensori dell’ex presidente del Senato Mancino, qui imputato di falsa testimonianza. Il Pm Francesco del Bene ha detto che quando Mancino telefonava continuamente al Quirinale per “tentare di condizionare e interrompere la prosecuzione della inchiesta”, era niente più che “un comune cittadino”, in grado però “di esercitare pressioni e attivare i più alti vertici della magistratura italiana”. Replica dei difensori: “Mancino è stato ministro, presidente del Senato, vicepresidente del Csm: quello è il suo mondo”.
Internazionale
Scrive La Stampa che si è scritta la storia ieri al Palazzo di Vetro Onu, poiché da 34 anni non c’era mai stato un incontro tra i capi della diplomazia iraniana e quella americana. Ieri invece il ministro degli esteri iraniano Zarif si è unito ai lavori del gruppo 5+1, ovvero dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza e la Germania, a margine dei lavori della 68esima Assemblea generale Onu. Il Presidente iraniano ha ribadito che l’unico nucleare che il suo Paese vuole è quello ad uso civile, e ad Israele ha chiesto di aderire al trattato di non proliferazione nucleare. Sul piano concreto si riparte dall’ultima proposta dei 5+ 1 e seccamente respinta dal suo predecessore Ahmadinejad: stop all’arricchimento, chiusura dell’impianto di Fordo, in cambio della fine delle sanzioni economiche.
Il quotidiano scrive che sarebbe vicino anche l’accordo su Damasco. Se ne occupa ampiamente il Corriere della Sera, secondo cui il documento sul quale si sarebbe raggiunta l’intesa tra i 5 membri permanente prevederebbe la richiesta alla Siria di rinunciare a tutte le sue armi chimiche. Secondo indiscrezioni il testo non evoca il capitolo 7 della Carta Onu, che prevede l’uso della forza se il destinatario non si adegua alle richieste imposte dalla risoluzione.
La Repubblica: “Iran, Rohani accelera sul dialogo, ‘accordo sul nucleare in tre mesi’”. Il quotidiano riferisce che Rohani ha concesso un colloquio al Washington Post in cui ha ribadito di avere il pieno sostegno del vero leader del Paese, la guida suprema Khamenei.
Sul Sole 24 Ore, una analisi di Alberto Negri: “La nuova dottrina Obama ha bisogno di Teheran”, poiché le crisi nell’area hanno complicato il disimpegno, a 4 anni dal dicorso di Obama al Cairo e dopo il ritiro dall’Iraq. Quanto all’Iran, anche Negri sottolinea che per convincere Khamenei e l’entourage dei pasdaran a fare concessioni sul nucleare, Rohani ha bisogno di offrire un alleggerimento delle sanzioni, soprattutto bancarie e finanziarie, che rilancino l’economia. “Un approccio diverso è destinato a non funzionare”. Sulla stessa pagina, ancora sull’apertura dell’Iran, Roberto Bongiorni spiega che le sanzioni internazionali stanno distruggendo l’economia in una analisi dal titolo “I primi frutti dell’embargo”.
L’Unità intervista il viceministro degli esteri Lapo Pistelli, che dice: “Rohani è una chance anche per Damasco”, “noi apripista nel dare credito a un nuovo corso, in Iran ce ne danno atto”.
Ancora su L’Unità Umberto de Giovannangeli si occupa del “terzo fronte siriano”, spiegando che tredici gruppi di ribelli, in una dichiarazione congiunta, hanno formalmente preso le distanze da ogni formazione di opposizione che abbia il suo quartier generale all’estero. Nel documento sottoscritto da diverse formazioni tra cui il Fronte al Nusra, da membri dell’esercito libero siriano, dal gruppo Liva Al Tawhid, dal gruppo radicale Ahrar al Shahm si legge: “La coalizione nazionale e il governo (in esilio) di Ahmad Tomeh non ci rappresentano e quindi non li riconosciamo”. Spiegano che la nuova Siria dovrà essere un califfato islamico retto dalla legge della sharia. Il gruppo egemone è quello di Jabat Al Nusra, cinquemila-settimila miliziani nelle cui strutture di comando sarebbero presenti jihadisti stranieri. La base sarebbe rappresentata da siriani reclutati soprattutto nelle campagne. Anche le nazionalistà dei jihadisti confluiti in Siria sono le più diverse. Ceceni sono, secondo fonti della Chiesa ortodossa di Aleppo, i rapitori di due vescovi ortodossi presi ad aprile; ma il ruolo più importante sarebbe quello dei miliziani iracheni.
Su Il Foglio Daniele Raineri racconta “l’ascesa di Omar il ceceno”, e spiega come Omar Al Shishani, ex soldato giorgiano, avrebbe ricevuto da al Qaeda il comando dell’esercito di estremisti stranieri che combatte in Siria. Il nome vero sarebbe Umar Gorgashvili, georgiano di etnia cecena, poiché in Georgia vive una grande comunità di ceceni espatriati.
La Repubblica rilancia una inchiesta del quotidiano britannico Guardian secondo cui una trentina di lavoratori immigrati dal Nepal si sarebbero rifugiati nella loro ambasciata per sfuggire alle condizioni inumani in cui si trovano in Qatar, costretti a turni massacranti, lasciati senza paga, e in certi casi senza cibo e con i passaporti confiscati. L’inchiesta si occupa di questi operai stranieri che contribuiscono alle grandi opere progettate in vista dei mondiali del 2022. Dal 4 giugno all’8 agosto di quest’anno sarebbero morti 44 immigrati, colpiti da crisi cardiache o comunque vittime di incidenti sul lavoro.Il Guardian l’ha definita “una moderna forma di schiavitù”.
Anche su Il Fatto trova eco l’inchiesta del Guardian: “Emirati crudeli. I lavoratori-schiavi vittime del silenzio”.
E su Il Giornale: “Nel Qatar torna la schiavitù: serve per costruire gli stadi”, “la Fifa in imbarazzo”.
E poi
Su La Repubblica Anais Ginori, da Parigi, dà conto delle dichiarazioni dell’antropologa Dunia Bouzar, membro dell’osservatorio nazionale per la laicità, secondo cui il calendario francese delle festività è “troppo cristiano”. Questa preponderanza di ricorrenze solo cristiane impedirebbe la giusta integrazione delle altre comunità religiose. La studiosa sottolinea la discriminazione dei fedeli non cristiani nella scansione delle vacanze programmate a scuola e negli uffici pubblici. Propone che nel calendario siano tolte due ricorrenze, per esempio Ognissanti e la Pentecoste, per sostituirle con la festa ebraica dello Yom Kippur e l’Eid, durante la quale i musulmani celebrano la fine del ramadan. L’osservatorio della laicità lavora a stretto contatto con il primo ministro e si occupa, tra l’altro, di vigilare sui simboli religiosi negli uffici pubblici. Il presidente dell’organismo, il socialismo Jean Luis Bianco, ha detto che cambiare il calendario delle festività religiose non è una priorità. Il governo vuole evitare nuove polemiche con la Chiesa, dopo quelle relative alla legge sul matrimonio per le coppie omosessuali. Bouzar è nata a Grenoble da genitori algerini, e pubblica da anni saggi sulla integrazione delle comunità religiose, soprattutto nei luoghi di lavoro. Tutte le famiglie, dice, festeggiano il Natale, “ma dovremmo poter condividere i momenti simbolici delle altre due principali religioni del Paese”. L’idea di inserire l’Eid nel calendario delle festività non convince però Abdallah Zekri, presidente dell’Osservatorio contro l’islamofobia, che predilige una soluzione di compromesso: piuttosto che sopprimere festività cristiane sarebbe meglio aggiungere due giorni per ebrei e musulmani.