Il Corriere della Sera: “Primo voto sul caso Berlusconi. Decadenza, mercoledì si esprime la Giunta”. “Intesa sui tempi. Letta: il governo? Prevarrà il buon senso”. E poi: “Nel Pd niente accordo tra Epifani e Renzi”. In alto: “Tassi più alti, effetti Btp sui conti. La Bce: attenti al rischio deficit”.
La Stampa: “Italia, torna l’allarme conti. Anche per il FMI ‘bisogna confermare i progressi fatti’. L’Antitrust: costi bancari ancora troppo alti”. “La Bce: con le nuove spese previste a rischio l’obiettivo del 2,9 per cento. Mercoledì il voto su Berlusconi. Letta: ‘Prevarrà il buonsenso’”. Di spalla: “Assad: rinuncerò alle armi chimiche. L’Onu: ecco le prove, il raiss ha usato i gas”.
La Repubblica: “Allarme Bce: l’Italia a rischio deficit”, “Timori a Francoforte sulla spesa fuori controllo e la copertura di Imu e Iva. Giù la produzione industriale, lo spread risale a quota 260”, “Crolla il reddito delle famiglie. Ma Draghi conferma la ripresa nell’Eurozona”.
In taglio basso, notizie sull’Ilva: “Ricatto dei Riva, fabbriche chiuse: 1400 a casa”.
Di spalla: “Assad cederà le armi chimiche alle Nazioni Unite. Kerry: non basta”.
Il Sole 24 Ore: “Bce, obiettivo a rischio”, “Draghi: la ripresa c’è ma è fragile. Sì alla vigilanza bancaria a Francoforte”. In taglio basso la questione Ilva: “I Riva fermano le fabbriche non Ilva”, “dopo il sequestro della liquidità nelle aziende della famiglia ‘sospesi’ 1400 addetti di sette impianti”. Di spalla: “Berlusconi, mercoledì il voto sulla decadenza. Letta: prevarrà il buonsenso”.
L’Unità, in riferimento all’Ilva: “Italia, tragedie operaie”.
Il Giornale: “Berlusconi ha deciso. Il Cavaliere è orientato a non chiedere la grazia. Potrebbe accettare i servizi sociali per avere l’agibilità politica e restare leader. Il Pd manettaro accelera sulla decadenza”. A centro pagina la notizia dello sciopero del Corriere, che domani non sarà in edicola: “Via Solferino rimane la sede, ma cambia il proprietario. Il Corriere sciopera anche se resta dov’è”.
Il Fatto quotidiano: “Napolitano manda alla Consulta l’uomo di Craxi”. Si parla di Giuliano Amato.
A centro pagina: “Lavitola, pizzino al Caimano”, “il faccendiere avverte Berlusconi che potrebbe essere indagato a Napoli per nuove tangenti”.
Libero: “Porcini di Stato”. E quattro fotografie: Amato (“piazzato alla Consulta a trentamila euro al mese mentre il suo nome spunta dalle carte Mps”), Burlando (“il Presidente della Liguria diserta il Consiglio per andare a raccogliere funghi”), Boldrini (“ha promesso auto blu piccola. Gira con la BMW blindata rifiutata anche da Fini”) e Abbado (“Il teatro fantasma voluto dal senatore a vita c’è costato dieci milioni”). A centro pagina: “Cav in allarme, vogliono portagli via le tv. Sarebbe già pronto il sequestro conservativo delle azioni”.
Bce
Il Sole 24 Ore illustra i contenuti del bollettino mensile pubblicato ieri dalla Bce, e spiega che, secondo le stime dell’istituto, l’obiettivo del governo italiano di un disavanzo pubblico sotto il 3 per cento nel 2013 è a “rischio crescente”. Il bollettino passa in rassegna i recenti provvedimenti in materia di finanza pubblica, e attribuisce il peggioramento dei conti al sostegno nel settore finanziario e al rimborso degli arretrati della Pubblica amministrazione. La Bce ricorda anche che l’abolizione della prima rata dell’Imu sulla prima casa comporterà un mancato gettito di 2,4 miliardi di euro circa, pari allo 0,1 per cento del Pil che, nei piani del governo, sarà compensato da un contenimento della spesa e maggiori entrate. Anche le minori entrate dovute al rinvio di tre mesi dell’aumento di un 1 per cento dell’Iva saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate.
Su La Stampa: “Palazzo Chigi ora teme l’assedio dell’Europa e una nuova infrazione”. Secondo il quotidiano il monito arrivato ieri dalla Bce è destinato a fare da spartiacque nella vita del governo Letta, anche perché esso evoca uno spauracchio che a Roma nessuno prende in considerazione seriamente, ma del quale si ricomincia a parlare, seppur sottovoce, a Bruxelles: il ritorno dell’Italia in area ‘procedura di infrazione’. Il quotidiano intervista Daniel Gros, che dirige il Ceps di Bruxelles, che sottolinea come da un lato i pagamenti dei debiti alla pubblica amministrazione siano un “una tantum”, quindi non strutturali, l’importante è osservare il disavanzo strutturale e comunque il superamento, nel caso, sarà minimo, il disavanzo sarà attorno al 3,2 o 3,3 per cento. Pensa che il governo dovrebbe chiedere a Bruxelles di concedere questo sforamento, come fu accordato alla Francia o al Portogallo? “No, direi di no, anche perché c’è un punto politico, adesso. La cosa importante è che il governo si dimostri coeso e con capacità di prendere decisioni chiare, incisive. Sull’Imu per esempio c’è stata una altalena durata mesi. Prima sì, poi no, poi la prima rata rimandata, poi forse, poi ancora no, e ora non si capisce che fine farà la seconda rata. E nel 2014 ci sarà una nuova tassa, la Service tax, di cui non si sa assolutamente niente. Insomma, non si presenta a tre mesi dall’anno nuovo, come copertura di una imposta abolita, una tassa nuova di cui al momento non si sa niente”. Gros sottolinea che l’Italia sta facendo “l’esatto opposto di quel che era stato suggerito dalla Commissione UE, che le aveva detto chiaramente che mantenere la tassazione sui patrimoni è fondamentale. L’Imu è una tassa equa e giusta, che oltretutto non si può evadere”. Inoltre, “sull’Italia incombono impegni molto pesanti: il Fiscal compact – dice – imporrà al vostro Paese nei prossimi anni una riduzione del debito gigantesca, al ritmo di 1 ventesimo all’anno. Su una montagna di duemila miliardi di euro è una impresa titanica, e mi pare che su questo punto la discussione non sia nemmeno iniziata”.
Il Corriere spiega come il Tesoro sia al lavoro sul documento di Stabilità, come per trovare le risorse e avviare la ripresa il Ministro dell’Economia confidi nella spending review: “stretta sui ministeri e i fondi per la seconda rata Imu”.
La Repubblica intervista Joerg Asmussen, membro tedesco del vertice Bce: “Imparate da Madrid e aprite il mercato del lavoro, altrimenti non avrete crescita”. Dice Asmussen che il problema principale dell’Italia è il “limitato potenziale di crescita: è stimato da Ocse, Fmi, Commissione, interno allo zero. Sono necessarie riforme strutturali, ecco il compito principale in Italia. “Il governo Monti ha fatto molto in campo fiscale in poco tempo, ma le riforme del mercato del lavoro sono solo all’inizio”. Dice ancora che negli ultimi 18 mesi si sono conseguiti molti progressi in Europa, ma su questo percorso “dobbiamo continuare”: “So che è un messaggio difficile mentre in media un giovane su 4 è senza lavoro, ma se abbandoniamo ora, a metà strada, il processo di rinnovamento, torneremo al punto di partenza”. Gli viene chiesto un commento sulla Germania alla vigilia delle elezioni, e Asmussen dice che la politica europea di Berlino “resterà tanto affidabile quanto lo è oggi, a prescindere da chi governa”, poiché “l’ottanta per cento dei deputati tedeschi ha approvato importanti decisioni sull’Europa come l’Esm”. Teme il crescente odio antitedesco in Europa? “Non facciamo istantanee. Oggi la Germania sta bene. Dieci anni fa era il grande malato d’Europa, prima delle riforme”. “Chiediamoci quanto è competitiva l’Europa rispetto a Cina, India, Brasile. Mi turbano i cliché: ad Atene Merkel vestita da Hitler, in Germania i greci dipinti come gente che sta sempre e solo in ferie al mare”.
E le tentazioni di cacciare il sud dall’Euro? “Il mio lavoro è permettere a tutti i membri di rimanere nell’area dell’euro. Ritengo preoccupante la percezione di una divisione nord-sud. Dobbiamo spiegare chiaramente i nostri argomenti contro le tendenze populiste”.
Ilva
Spiega la Stampa che l’11 settembre i militari della Guardia di Finanza di Taranto hanno sequestrato preventivamente una somma complessiva di oltre 916 milioni. In sostanza, altre 13 società a diverso titolo riconducibili al gruppo Riva, nonché 71 milioni di Euro di azioni Alitalia.
Il Sole 24 Ore: “Dopo gli altiforni si fermano anche i forni elettrici. La famiglia Riva decide di fermare tutte le attività degli impianti elettrosiderurgici (vale a dire acciaio ottenuto in un forno elettrico)”. E’ il cuore pulsante del gruppo, si tratta delle attivitivà dislocate nel nord Italia, avviate negli anni 60 e 70, il segmento di specializzazione nella produzione di prodotti lunghi che ha preceduto la stagione della acquisizione dell’Ilva di Taranto. Nel 2012 la produzione di questi stabilimenti, raggruppati sotto la holding Riva Forni Elettrici (una nuova denominazione adottata nel 2013) è stata pari a 7,8 milioni di tonnellate. Gli asset comprendono, oltre ad alcuni siti produttivi dislocati fuori dai confini italiani (non interessati dal sequestro) sei stabilimenti italiani dove si realizza sia materiale di minor pregio che prodotti a valore aggiunto. In questi sei siti è stata sospesa al momento l’attività, insieme all’attività di 1400 dipendenti. I Riva hanno giustificato lo stop all’attività come una scelta necessaria, poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto di lunedì scorso, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio (la holding a sua volta controllata da Riva Forni Elettrici) i cespiti aziendali, e sequestrati i saldi attivi di conto corrente “impedisce” – si legge nella nota – “il normale ciclo di pagamenti aziendali, e fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività”. Riva Acciaio ha comunicato che impugnerà il provvedimento di sequestro: “Tali attività – sostiene – non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva, e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie dell’Ilva di Taranto.
Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, intervistato da La Stampa, dice: “L’atteggiamento di questi magistrati nei confronti dei Riva è incomprensibile. Siamo all’accanimento giudiziario”.
Su La Repubblica a commentare questa vicenda è Adriano Sofri: “Se fossi il Papa, visiterei le discariche dell’Ilva”. Sofri ricorda che nel 2008, “in cambio di qualcosa, i Riva padroni dell’Ilva diventarono, versando 120 milioni, il secondo azionista dell’Alitalia rattoppata dopo Air France. 71 di quei milioni sono ora stati sequestrati dalla GDF, insieme al patriomonio che i Riva avevano scorporato dall’Ilva per metterlo al riparo. Il totale di questo secondo sequestro totalizza 916 milioni. Porzioni stanate dalla società Riva per stanare la cifra di 8,1 miliardi, fissata dalla magistratura come equivalente di quanto i Riva avevano sottratto al risanamento ambientale”.
L’Unità, dando conto delle reazioni sindacali, scrive che la Fiom Cgil, che in serata ha partecipato con le altre sigle dei metalmeccanici ad una riunione al ministero dello Sviluppo economico, ha sottolineato che “la scelta dei Riva è un atto di drammatizzazione inaccettabile, perché scarica sui dipendenti responsabilità non loro. Chiediamo al governo di convocare con urgenza un tavolo e di dare il via al commissariamento, come è previsto dal decreto Ilva, di tutte le società controllate dal gruppo, comprese Riva Acciai e Riva Fire, al fine di garantire l’occupazione e la continuità produttiva”.
La Repubblica intervista il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato. Non si spiega ancora la motivazione che ha spinto i Riva alla decisione di fermare l’attività delle sette fabbriche al nord. Spiega che la prima preoccupazione per il governo sono i lavoratori, afferma di ritenere possibile che i 1400 lavoratori coinvolti ricevano la Cassa Integrazione perché la produzione di acciaio non è una attività decotta e gli impianti in questione sono competivi. Insomma, è la tipica situazione in cui è corretto far uso della Cassa integrazione.
E sulle ipotesi di commissariare l’intero gruppo Riva dice: “Non sarei sincero se le dicessi che non ci ho pensato. E’ una ipotesi, ma non so se sia una strada percorribile”. Il decreto legge con cui il governo ha commissariato l’Ilva trovava la sua giustificazione nel disastro ambientale provocato dallo stabilimento siderurgico, e dunque dalla necessità di utilizzare le risorse per rispettare i vincoli del risanamento ambientale previsti dall’Aia. Quest’ultimo è oggettivamente un caso diverso”.
Zanonato fa anche notare che il sequestro dei conti correnti impedisce che vengano pagati i fornitori: “non c’è dubbio che questo possa determinare un effetto a catena, con altre aziende che possono entrare in difficoltà”.
Amato
“Amato alla Consulta, consensi e veleni. Sì da Pd e Pdl alla nomina di Napolitano. Opposizione all’attacco”, titola il Corriere della Sera. E spiega che la nomina di Giuliano Amato a nuovo giudice della Corte Costituzionale divide la politica: arrivata nel mezzo della battaglia al Senato sulla decadenza di Berlusconi, la nomina viene letta anche alla luce delle decisioni che attendono la Consulta e che coinvolgeranno il Cavaliere. Movimento 5 Stelle, Lega e Sel sono in prima fila nel criticare aspramente la nomina. E anche in Rete, secondo il Corriere, avanza la protesta, che coinvolge anche elettori del Pd, non entusiasti del nome di Amato, “per il suo passato socialista e per le troppe ‘poltrone’”. Secondo il quirinalista del quotidiano, Marzio Breda, “il capo dello Stato apprezza la competenza economica con cui Amato si è mosso da ministro e da presidente del Consiglio quando avviò il risanamento dei conti pubblici nel 1992. Ma è soprattutto allo studioso di diritto pubblico che Napolitano ha pensato” per la nomina alla Consulta “in un momento particolarmente delicato”.
La Repubblica scrive che non si ricorda, di recente, una nomina di Napolitano così duramente contestata. Nomina annunciata, peraltro, perché sin da prima dell’estate il nome di Amato era in pole position nelle indiscrezioni dal Colle. Filippo Ceccarelli descrive il personaggio: “Da Bettino alla Consulta, la nuova vita del dottor Sottile, l’uomo per tutti gli incarichi. E per due volte ha sfiorato il Quirinale”.
Polemico Il Fatto: “Nel regno di Napolitano Amato va alla Consulta. Il Quirinale porta il suo fedelissimo ex premier nella Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sul porcellum e forse sulla legge Severino”. E un altro articolo recita: “L’ennesima poltrona per il signore della casta. Ha già un cospicuo vitalizio da parlamentare, una pensione colossale, e ora avrà un super-stipendio con tanto di aumento”.
Siria
Scrive La Stampa che la Siria ha annunciato la sua adezione alla Chemical Weapons Convention, il trattato che vieta l’uso delle armi chimiche e impone la loro distruzione. La lettera con cui la Siria avrebbe fatto questo annuncio precisa in particolare due punti: Assad si impegna a rispettare da subito le condizioni del trattato, anche se i tempi della adesione ufficiale saranno più lunghi; l’ingresso nella Convenzione non significa in alcun modo il riconoscimento di Israele. Il punto importante è il primo, perché in teoria significa che Damasco dovrebbe cominciare a smantellare il suo arsenale chimico già da oggi, consentendo pieno accesso agli ispettori della Organization for the proibition of chemical weapons. Assad però, parlando ad una tv russa, ha detto cosa diversa: consegnerà le informazioni sulle sue armi solo tra 30 giorni e soltanto se gli americani elimineranno dal tavolo la minaccia di usare la forza contro di lui. Il Presidente siriano ha anche intimato a Washington di “sospendere gli aiuti ai terroristi”, ossia gli oppositori del regime.
Le modalità tecniche per il censimento e la distruzione dell’arsenale siriano sono al centro dei colloqui in corso tra i capi delle diplomazie russa e americana a Ginevra. Una spinta potrebbe venire dal rapporto degli ispettori Onu, poiché secondo alcune fonti diplomatiche occidentali, il resoconto che verrà da loro presentato lunedì al Consiglio di sicurezza scaricherà le colpe delle armi chimiche su Assad. Il mandato degli ispettori, sottolinea La Stampa, in realtà è limitato a stabilire se gli agenti vietati siano stati utilizzati, e non da chi. Ha voluto così il segretario generale Onu Ban Ki-Moon, per evitare di essere strumentalizzato. Se però la squadra degli ispettori ha raccolto parti dei razzi usati per l’attacco ed ha la prova che vengono dagli arsenali di Damasco, le responsabilità diverranno chiare. Anche la composizione dei gas, il metodo per rilasciarli, e l’eventuale coinvolgimento dell’aviazione potrebbero dare indicazioni in questo senso, come ipotizza peraltro il ministro degli esteri francese Fabius.
Il Corriere riassume così la situazione: “Assad dà il suo assenso: ‘cedo le armi chimiche’. Lavrov: ora l’attacco non più giustificato. Ma Kerry: se la Siria mente useremo la forza”. Il Corriere spiega che secondo il quotidiano russo Kommersant il piano di smantellamento dell’arsenale chimico prevederebbe 4 punti: la Siria firma la convenzione sul bando delle armi chimiche; Damasco fornisce all’Onu i dettagli del suo arsenale; partono le ispezioni Onu e la raccolta; eventuale distruzione dell’arsenale. Oppure, in alternativa, la messa in sicurezza con una azione congiunta Usa-Russia.
Intanto, come scrive La Repubblica, Putin “ruba ancora la scena ad Obama”. Lo ha fatto con un editoriale sul New York Times, che ha diviso l’America e provocato indignazione nel mondo politico. A riprodurre l’intervento del Presidente russo è La Repubblica. Scrive Putin: “Il potenziale attacco contro la Siria a opera degli Usa, nonostante l’opposizione di massimi leader politici e religiosi, incluso il Papa, causerebbe ulteriori vittime innocenti e una escalation del conflitto che potrebbe estendersi ben oltre i confini siriani. L’attacco scatenerebbe una nuova ondata di terrorismo”, la Siria non è di fronte a una battaglia per la democrazia, bensì a un conflitto tra governo e opposizione in un Paese multireligioso. Sono pochi in Siria i paladini della democrazia, ma ci sono più che a sufficienza combattenti di Al Qaeda ed estremisti di ogni genere in lotta contro il governo”, “non stiamo proteggendo il governo siriano, bensì il diritto internazionale. Dobbiamo ricorrere al Consiglio di sicurezza e credere che tutelare l’ordine e la legalità nel mondo complesso e turbolento di oggi sia uno dei pochi modi per impedire che i rapporti internazionali scivolino nel caos”. “In base al diritto internazionale l’uso della forza è consentito solo per autodifesa o su decisione del Consiglio di sicurezza. Qualunque altro comportamento costituirebbe un atto di aggressione”. Nessuno dubita che in Siria sia stato usato gas venefico. Ma è giustificato credere che non sia stato usato dall’esercito siriano, bensì dall’opposizione, per provocare l’intervento dei loro potenti stati-padroni stranieri. Non si possono ignorare i rapporti secondo cui i militanti stanno preparando un nuovo attacco, stavolta contro Israele. E’ allarmante che l’intervento militare nei confronti dei conflitti interni di Paesi stranieri sia diventato una pratica comune per gli Usa”.
Il Foglio titola: “La catastrofe siriana fa splendere il russo Putin di una nuova grandeur”, “Con la ‘garanzia’ sulle armi chimiche Mosca diventa il broker della pace, indispensabile per Obama e Assad”. E parla di “beffa” sul New York Times.
Su La Stampa da segnalare un’intervista a Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group (sulla scelta operata da Putin parla di “Strategia chiara e iniziativa” che “ha riempito lo spazio lasciato vuoto da Obama”) e un’analisi di Roberto Toscano (“Vladimir, un colpo all’unilateralismo”).