Difficile guardare al vincitore Hollande solo come colui che ha battuto Sarkozy, perché il nuovo presidente francese è anche colui che fu l’avversario, nel Partito socialista, di Laurent Fabius, all’epoca del referendum sulla Costituzione europea del 2005. Allora fu Fabius a vincere e a far passare il “no” all’Europa prima tra i socialisti, e poi fatalmente tra gli elettori francesi. La conseguenza fu un disastroso stop al cammino dell’Unione politica europea. Si capì subito che quel blocco sarebbe durato per un intero ciclo.
Era una data importante, il 29 maggio 2005, di quelle lasciano un segno negativo a lungo e che rimangono nei libri di storia come le grandi occasioni mancate, o (speriamo) solo di molto rinviate. Oggi Fabius è sulla scena come collaboratore, probabile ministro, del nuovo numero uno di Francia, ma siamo ormai in un altro ciclo: la crisi dell’euro ha scavato molte sicurezze, le insufficienze politiche dell’Unione, il deficit di legittimità delle istituzioni comunitarie, le pulsioni populiste, la instabilità finanziaria, il rischio di un crash, per un po’ allontanato ma sempre incombente. E non è ancora escluso che i francesi possano reagire secondo un vecchio riflesso nazionalista, ma la vittoria di Hollande è comunque la rivincita di quella parte del riformismo socialista francese che aveva tentato di opporsi all’ondata protezionista, conservatrice, attaccata alla sovranità nazionale come un muro insuperabile.
A dividere i due contendenti delle presidenziali non c’era soltanto il tema della crescita, delle tasse sui patrimoni e la finanzia, un diverso atteggiamento rispetto alla linea tedesca, c’era anche una diversa dose di fiducia nel futuro dell’Unione europea, una maggiore disponibilità in Hollande a vedere nell’Europa e nell’incremento dei poteri di decisione sovranazionali una soluzione piú che un problema. Differenza che potrebbe diventare decisiva nel modificare il corso degli eventi e che potrebbe allontanarci da una disfatta delle prospettive comunitarie e delle prospettive generali di tutti noi. Anche Fabius non è piú lo stesso che fermò il cammino della costruzione europea, lucrando consensi sulla paura dei lavoratori francesi. Oggi parla in un altro modo. Che veda anche lui ora nell’Europa un’occasione di crescita e non solo una minaccia alla sovranità nazionale? C’è da sperarlo.
Il rischio che abbiamo corso, tutti e 490 i milioni di abitanti dell’Europa unita e allargata a 27, è che con una vittoria di Sarkozy, a giudicare dalla competizione che ha ingaggiato con Marine Le Pen, non solo nel fare il duro sull’immigrazione (dimezzare il numero degli ingressi, sbarrare la via a qualunque ipotesi di diritto di voto nelle elezioni municipali), ma anche nell’innalzare il sacro totem della “souveraineté nationale” e del “patriotisme”, due parole che avrebbero dovuto allontanare gli elettori dal candidato socialista (dunque sospetto di internazionalismo, cosmopolitismo) Hollande, come l’aglio dal conte Dracula.
Quelle parole avevano nel duello e negli appelli finali un significato chiarissimo: no all’Europa. Chi avesse avuto dubbi sul loro significato doveva soltanto ascoltare il modo in cui la leader del Front National li ha ripetuti, aggiungendovi, come in una caricatura, la necessità di “protéger la laïcité”. Sarkozy ha cercato di sbarrare la strada a questa emorragia di voti verso la destra estrema facendo suo lo stesso stile aggressivo e gli stessi richiami xenofobi, cercando di mettere in difficoltà Hollande sul burqa e sul diritto di voto degli immigrati, evocando tutto il repertorio retorico della paura.
È un segno che lascia bene sperare il fatto che Hollande abbia vinto, di misura, ma nettamente, senza piegarsi a questo genere di pressione estremista che non era nel repertorio tradizionale della destra repubblicana. Il fatto che il presidente che ora esce di scena abbia attenuato la “linea bianca” che sempre ha separato la destra democratica francese dall’intolleranza e dal razzismo è l’indizio che forse ci lasciamo alle spalle il momento di rischio maggiore. Quella ”linea bianca” è la stessa che ci separa dai nemici dell’Unione europea, quelli che la vogliono affogare ora e impedire per sempre.