La redazione è al terzo piano di un anonimo palazzo alla periferia asiatica di Istanbul. Ma che i tre giovani redattori di uno dei primi quotidiani cartacei della Siria in rivolta lavorino nella metropoli turca non significa che siano prezzolati agenti di Ankara in funzione anti-Damasco. Lavorano all’estero – in esilio forzato – semplicemente perché nel loro Paese non possono (ancora) esercitare liberamente l’agognata professione giornalistica. “Per tre mesi abbiamo trovato un editore siriano, anch’egli in esilio, che ha sostenuto le spese per la pubblicazione e diffusione del cartaceo. Ma i tre mesi sono finiti e ora ci limitiamo ai testi elettronici”.
Badr è di Hama, città della Siria centrale. Ha 28 anni ed è cofondatore della versione stampata di Sham. Il gruppo Sham (in arabo “Siria” ma anche “Damasco”) è uno dei più attivi nell’emergente panorama editoriale siriano in esilio e guidato da una cordata di imprenditori dissidenti che fa capo all’imprenditore Bilal Abu Abdo, da anni residente all’estero. “Non facciamo parte integrante del gruppo Sham – precisa Badr parlando con Arab Media Report – ma abbiamo ottenuto da loro la licenza di usare il loro logo, parte della loro struttura, la loro rete di corrispondenti e creare ex novo il primo giornale cartaceo. Che ora viene distribuito solo online e in formato Pdf”.
L’esperienza, seppur ancora embrionale del quotidiano Sham, è esemplare delle potenzialità, ma anche delle difficoltà insite nel fenomeno, del tutto inedito, della nascita e dello sviluppo del giornalismo professionista in Siria. Come già si è ricordato in precedenza, dopo mezzo secolo di potere baatista per lo più identificato con quello della famiglia Asad e dei suoi alleati, nel Paese è stata di fatto sradicata la cultura di una stampa che tenti di essere “libera e al servizio dei cittadini”. Questa premessa storica va affiancata all’analisi di un’attualità dominata da crescente radicalizzazione della violenza. Non c’è dunque da stupirsi se i tentativi da parte di numerosi siriani di dar vita a piattaforme mediatiche “libere” siano ancora – dopo appena due anni e mezzo dallo scoppio delle prime manifestazioni popolari anti-regime – imperfetti e mostrino evidenti limiti in termini di professionalità e trasparenza.
Ciò nonostante, dalla primavera 2011 a oggi sono nati – ma alcuni sono già morti – più di 80 periodici online, una trentina di radio locali che trasmettono in streaming, altrettante piattaforme che si definiscono “agenzie di stampa”, decine di documentari del cosiddetto cinema alternativo siriano, alcuni portali di traduzione dall’arabo in lingue occidentali di documenti scritti e video relativi all’attivismo anti-regime, oltre a diversi tentativi – alcuni estemporanei, altri più duraturi – di citizen journalism, il giornalismo amatoriale…
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