Da Reset-Dialogues on Civilizations
Giornali stranieri, anche italiani, hanno scritto molto sul recente declino di Al Jazeera. Le dimissioni di decine di giornalisti a Doha sono state sventolate come la prova evidente del fallimento del network e della sua intollerabile faziosità. Chi ha osservato Al Jazeera da vicino, e non con il binocolo dall’Europa, conosce il turnover del suo staff: sono quasi tutti giornalisti stranieri trapiantati a Doha per l’avventura professionale di un periodo. Sono pochi quelli che vengono per stare più di due o tre anni.
Anche senza conoscere l’impenetrabile Al Jazeera, se la stampa straniera conoscesse il Qatar e la qualità di vita nel Paese saprebbe perché tanti giornalisti escono da Al Jazeera ogni anno. Basterebbe portarli nell’emirato per qualche giorno durante Ramadan a luglio con più di 45 gradi senza poter bere acqua in pubblico per dar loro un indizio.
Dalla prospettiva italiana è difficile capire come un giornalista strapagato con un contratto a tempo indeterminato per Al Jazeera decida di licenziarsi, ma sono anche quei giornalisti che non si sono mai mossi dall’Italia, abituati alle dinamiche italiane e che pensano che per trovare un lavoro sia indispensabile una raccomandazione.
I giornalisti che ora danno le dimissioni da Al Jazeera sono stati assunti tempo prima mandando un curriculum sul sito internet del network e sanno che troveranno un altro lavoro con le stesse modalità perché, per fortuna, nel resto del mondo trovare un lavoro mandando un CV via email non è una fantasia, ma la regola. Lasciare Al Jazeera è quindi per molti una scelta di vita presa per la stanchezza di vivere a Doha e con la consapevolezza di avere altre porte aperte.
In fila di fronte all’ufficio amministrativo di Al Jazeera qualche tempo fa c’erano sei persone: stavano tutte raccogliendo le firme necessarie per dare le dimissioni e solo due avevano già un altro lavoro. Le altre quattro lasciavano perché sature di vivere in Qatar e desiderose di trasferirsi in un Paese in cui poter immaginare un futuro per sé e per i propri figli.
Se il numero di dimissioni potrebbe essere un dato fuorviante e incapace di descrivere del tutto il declino di Al Jazeera, altri elementi mostrano più chiaramente cosa stia provocando la sfiducia nel network da parte della sua audience e di molti membri del suo staff.
Già dall’atteso lancio di Al Jazeera America annunciato per il 20 agosto, molti giornalisti a Doha percepivano che il network avrebbe fatto di tutto per conquistare l’audience americana, arrivando a svendere la sua immagine a partire dal modo di presentare i programmi. Molti sono rimasti stupiti nel vedere il primo giorno di Ramadan, il mese della preghiera e del digiuno per il mondo islamico, una minigonna rosso fuoco su un tacco vertiginoso sulla presentatrice del programma di Al Jazeera The Stream. Se nessuno è contrario alla minigonna di per sé, vi è condivisione di pensiero sulla dubbia professionalità di tal abbigliamento. Per quanto si voglia sorridere all’occidente adottano il suo stesso look informale, la cosa è stata percepita da molti giornalisti nella redazione di Doha come un eccessivo ammiccare all’audience americana con una mancanza di attenzione, se non di rispetto, verso la più sobria audience araba.
Ma se questi dettagli hanno colpito solo alcuni fedeli osservatori e telespettatori del network, il comportamento di altri giornalisti è stato notato da tutti.
La copertura mediatica in Siria della giornalista di Al Jazeera Anita McNaught è stata considerata da molti come palesemente schierata dalla parte dei ribelli sostenuti anche dal governo qatarino, ma in questo caso molti sono stati indulgenti. In un servizio dalla città di Iblid, McNaught dice “Per ogni proiettile sparato dai ribelli contro l’esercito siriano, vi sono cannonate in risposta, ed è quello che è successo a noi”: un “noi” che sembra comprendere non solo lei e il cameraman che sicuramente non sparavano alcun proiettile, ma anche i ribelli con cui viene ripresa a camminare. Un “noi” che secondo molti rivela una solidarietà.
Ma McNaught è stata perdonata da parte della sua audience perché il suo veniva percepito come un coinvolgimento emotivo ed umano, perdonato perché come dicono molti, “there was no agenda”, non aveva delle finalità più subdole e nascoste. Molti però hanno storto il naso e fonti affermano che siano volate lettere di avvertimento.
Diversa invece la situazione in Egitto dove il coinvolgimento personale politico di alcuni giornalisti di Al Jazeera non lascia spazio all’imparzialità che la professione richiede. Come spiegato da Fadi Salem, ricercatore specializzato in media arabi, in un’intervista pubblicata dal magazine Foreign Policy, molti degli editori e presentatori del canale in arabo di Al Jazeera sono dei simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, partito al centro delle vicende che hanno stravolto l’Egitto.
“Questo si è riflesso nella copertura pro-islamisti trasmessa dal network negli ultimi due anni, in cui si è vista una combinazione di incitamento, scene di sangue, e predicatori islamici e commentatori dei media” ha dichiarato Salem. L’inviato di Al Jazeera in Egitto Jamal ElShayyal è stato notato da molti per le sue frasi assertive che hanno imbarazzato anche il presentatore a Doha che in diretta cercava di smorzare le sue affermazioni.
Quando, in seguito al colpo di stato militare che ha visto l’arresto del premier egiziano Mohamed Morsi, uomini vestiti da militari hanno aperto il fuoco su una folla in preghiera uccidendo decine di persone, le forze armate egiziane hanno subito affermato che loro non erano dietro al massacro e che era l’opera di terroristi vestiti da militari, ma ElShayyal nella diretta televisiva per Al Jazeera continuava a ripetere che gli esecutori erano militari. Il presentatore a Doha tentava goffamente di correggerlo ripetendo che erano solo vestiti da militari per quanto ne sapevano loro, ma la cosa non sembrava dissuaderlo.
Più recentemente Al Jazeera ha pubblicato il servizio “US bankrolled anti-Morsi activists” in cui il network ometteva di menzionare che le organizzazioni rappresentative della società civile che avevano ricevuto i finanziamenti americani erano state supportate anche durante l’era di Hosni Mubarak. Un’omissione non irrilevante che ha irritato l’audience più consapevole di Al Jazeera.
Molti si chiedono come abbia fatto Al Jazeera da essere la numero uno in Medio Oriente fino all’anno scorso, elogiata anche dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, a screditarsi in questo modo, perdendo fette di share significative proprio in Medio Oriente e in particolare nei Paesi colpiti dalle rivolte della primavera araba. Una collezione di episodi come quelli elencati potrebbe aiutare ad individuare una risposta.
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minigonna e tacchi a spillo: la maschera degli islamisti
mi sembra un commento fuori discorso 😉