Da Reset-Dialogues on Civilizations
Molti artisti egiziani considerano quella del 30 giugno la “loro” rivoluzione, e non a torto. L’impegno civico e politico di centinaia di poeti, pittori, fotografi, musicisti, cantanti e ballerini di tutto l’Egitto si è concretizzato in numerose occupazioni, punto di partenza di una gioiosa quanto risoluta protesta popolare.
Per i sostenitori di Morsi, uno dei principali meriti dell’ex presidente è rappresentato dalla campagna contro corruzione, blasfemia, influenza occidentale e tutto ciò che è haraam, ovvero impuro e proibito da Dio. In linea con tale proposito, il ministro della cultura Alaa Abdel-Aziz, nominato il 7 maggio scorso, aveva dato inizio a un programma di sostituzione dei vertici del panorama culturale egiziano, procedendo a nomine basate su valutazioni prettamente politico-religiose. Questo progetto non ha tardato a destare l’allarme del vivace mondo culturale egiziano, preoccupato di vedere la propria indipendenza sottomessa a un nuovo oscurantismo di matrice islamista.
In questo clima già teso, ad alimentare il disappunto degli artisti per la sostituzione del direttore dell’Autorità Generale per il Libro e di quello del Consiglio delle Belle Arti, si sono aggiunte le parole di Gamal Hamed, membro ultraconservatore della Shura, secondo il quale il balletto è “l’arte della nudità, foriera di immoralità e oscenità tra la popolazione”. La notizia, il 30 maggio, del licenziamento di Ines Abdel-Dayem, direttrice dell’Opera del Cairo, ha segnato pertanto l’avvio delle proteste. I dipendenti dell’Opera, guidati dal direttore Nayer Nagui, hanno indetto uno sciopero, annunciando l’intenzione di impedire l’insediamento del successore e denunciando “un piano dettagliato per distruggere la cultura e le belle arti in Egitto”. Lo sciopero, si precisava, sarebbe durato fino alle dimissioni del ministro. La solidarietà da parte degli altri artisti è stata rapida e contagiosa, portando diverse centinaia di loro – assieme a critici, accademici e studenti – ad occupare il palazzo del Ministero della Cultura.
L’occupazione dell’edificio si è svolta il 5 giugno senza alcuna difficoltà: a far entrare gli artisti sono stati gli stessi impiegati del Ministero, molti dei quali avevano da poco ricevuto comunicazione del proprio licenziamento. Già al secondo giorno di occupazione, il Freedom of Creativity Front, appellativo scelto dagli stessi occupanti, ha annunciato in un comunicato che la protesta non era indirizzata esclusivamente contro il Ministro, ma mirava a denunciare politiche governative che interpretano il Paese come “spoglie da dividersi tra i propri sostenitori e seguaci”. “Le autorità stanno tentando di cambiare l’essenza dell’Egitto, spogliandola lentamente dell’eterogeneità della sua cultura” ha affermato al Guardian la cantante d’opera Dalia Farid Fadel.
I leader del movimento – artisti affermati tra i sessanta e i settanta anni di età – hanno fin dall’inizio dell’occupazione svolto un meticoloso lavoro di coordinamento delle centinaia di colleghi accorsi da tutto il Paese, dando vita ad un cartellone di spettacoli serali aperti al pubblico e gratuiti, riproposti sul web in video divenuti ormai virali.
Lunghissimo e variegato l’elenco delle performance messe in scena: concerti di musica classica, spettacoli teatrali, canti tradizionali sufi e di altre tradizioni religiose, canti patriottici, concerti pop, rap e hip-hop, recite di poesie, spettacoli di danza, di circo e di marionette. Esibizioni caratterizzate da un forte legame emotivo tra artisti e pubblico. “Il balletto è haraam? No! La poesia è haraam? No! La fotografia è haraam? No!” è stato il dialogo più ricorrente tra palcoscenico e spettatori.
Nella programmazione degli spettacoli, un punto fondamentale su cui il Freedom of Creativity Front ha voluto porre l’accento – in netta opposizione con le politiche governative – riguarda l’attenzione riservata alla produzione culturale di matrice religiosa diversa dall’islam – in primis quella copta, ma anche atea, agnostica e sciita.
Affiancati da ONG, sindacati e gruppi informali di studenti e cittadini, gli artisti hanno così saputo dar vita ad un esempio di politica culturale alternativa, in cui diversità culturale e religiosa, creatività, arte e impegno civico si fondono in un mix capace di attirare un pubblico sempre più numeroso e partecipe.
Gli artisti in altre città d’Egitto, seguendo l’esempio del Cairo, hanno organizzato scioperi, sit-in e occupazioni di spazi culturali. Come al Ministero della Cultura, anche al Teatro Beiram El-Tonsi di Alessandria – forte del coinvolgimento di oltre 600 artisti – si sono tenuti numerosi spettacoli e dibattiti sulla politica culturale del Paese, sui rapporti da intrattenere con i movimenti di opposizione e sul ruolo da affidare ai media stranieri.
Gli eventi, organizzati con grande perizia, si sono tuttavia svolti in un clima di tensione dovuto alle minacce dei sostenitori del regime. Attacchi violenti si sono svolti lo scorso 11 giugno al Cairo e il 24 ad Alessandria. In seguito a questi eventi, la polizia ha deciso di restare nelle vicinanze delle occupazioni, limitandosi a intervenire in occasione di qualche lite scoppiata per la presenza di personaggi controversi tra la folla, prontamente allontanati. Il lavoro della polizia è poi stato facilitato dalla collaborazione delle tifoserie di calcio, che si sono offerte di presidiare l’occupazione di notte. Con la sola controindicazione che, in qualche occasione, cori da stadio si sono sovrapposti alla musica e ai canti degli artisti.
Ciò che era iniziato come atto di sfida al Ministro delle Cultura è dunque rapidamente diventato un’aperta sfida alla credibilità dell’intero governo. Una sfida capace di conquistare la simpatia e l’appoggio di buona parte della popolazione, dando ulteriore vigore alla campagna popolare Tamarod (protesta, ribellione) e al relativo appello a manifestare contro il presidente il 30 giugno. Simbolicamente, è proprio dal Ministero della Cultura occupato che il 30 è partita, diretta verso piazza Tahrir, quella che BBC e CNN hanno definito la più grande manifestazione della storia dell’uomo. Gli occupanti si sono divisi in tre gruppi: il primo, il più grande, ha preso parte alla manifestazione, esibendo i cartellini rossi per l’ “espulsione” di Morsi; il secondo è restato nell’edificio per proteggere l’occupazione, mentre il terzo ha contribuito all’allestimento di ospedali da campo, per la maggior parte – fortunatamente – inutilizzati.
La rimozione di Morsi ad opera dei militari non segna, per ora, la fine dei sit-in: gli artisti restano vigili sul futuro delle politiche culturali egiziane e saranno con ogni probabilità un importante interlocutore per il nuovo esecutivo – oltre che un punto di riferimento per futuri episodi di occupazione.
Alcuni video:
http://youtu.be/ldm6uxZS0bY
http://youtu.be/sb7emg7dNc0
http://youtu.be/7L1TRJ__30I
Nella foto: protesta di fronte all’Opera del Cairo