Da Reset-Dialogues on Civilizations
Cinquecentosessanta volte la Siria, quasi trecento l’Afghanistan e solo una Cuba, Costa D’Avorio, Etiopia, Eritrea, Madagascar e Malawi. Due Haiti, Uganda e Mauritania; poco meglio per Somalia, Sudan, Mali, Tunisia, Iraq e Yemen; ma sempre di poche decine si tratta. Sono i numeri della copertura da parte dei principali tg italiani delle crisi che hanno attraversato il mondo durante il 2012 e che ci raccontano come certi Paesi e certe realtà siano ai più invisibili.
Si chiama, infatti, “Crisi dimenticate” il nono rapporto commissionato da Medici Senza Frontiere all’Osservatorio di Pavia che per un anno ha monitorato i sette notiziari di Rai, Mediaset e La7 durante il prime time, cioè la prima fascia serale, quella di maggiore ascolto, per scoprire quante volte eventi e situazioni di crisi umanitarie sono diventate notizia. E i risultati non sono confortanti, a partire dal primo dato e cioè quel 4% dello spazio totale dedicato a simili argomenti. La percentuale più bassa dal 2006 a oggi, che stride ancora di più se si confronta con il 6% riservato alle cosiddette softnews, notizie leggere, che non turbino anzi rassicurino gli spettatori, come gossip, curiosità dal mondo animale, insomma quell’infotainment, tra informazione e intrattenimento, che si è guadagnato un posto di rilievo in tutti i tg. “Una situazione inaccettabile”, denuncia l’associazione.
Ma non è questo, almeno stando al rapporto, che ha provocato l’erosione progressiva, negli ultimi sei anni, dello spazio riservato alle crisi internazionali. Quest’anno in particolare senza una guerra alle porte di casa, come quella libica, né rivolte a pochi chilometri di mare, come quelle che hanno dato il via alla Primavera Araba, a farla da padrone sono state principalmente le questioni economiche e politiche interne.
Un ritiro nel proprio cortile che in Italia si traduce in 1.974 notizie relative a eventi e crisi umanitarie, su un totale di 64.743 fatti indicizzati.
Non che all’estero vada particolarmente meglio, almeno dal punto di vista quantitativo. A differenza di quanto si è portati a credere dei Paesi che in virtù del loro passato coloniale sono più inclini a mettere il naso fuori dalla porta di casa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna non dedicano molto più spazio alle crisi. Rispetto al tg1, il primo notiziario nazionale che dedica il 5,7% del suo spazio a questi argomenti, in Spagna si tocca il 5,9%; il 7,2% in Francia e l’8,7% in Gran Bretagna. Mentre in Germania, con il 14,4%, la forbice si allarga. Gli argomenti privilegiati restano più o meno gli stessi (Siria, Afghanistan, Medioriente, Egitto), quella che cambia, però, è la qualità dell’informazione.
Ciò che emerge dall’analisi sui nostri notiziari è, infatti, una tendenza alla personalizzazione delle notizie e a un punto di vista fortemente italiano-centrico nell’approccio (anche al di là di ciò che prevedono i classici criteri della “notiziabilità”); news che diventano tali soprattutto quando a essere coinvolti sono i nostri connazionali. È certamente il caso dell’Afghanistan (dove è impegnato militarmente il contingente italiano), ma anche quello di rapimenti e liberazioni, come quello di Rossella Urru in Algeria, del carabiniere Alessandro Spadotto nello Yemen, dell’ingegnere Franco Lamolinara, ucciso in Nigeria, e, ancora, di casi limite come quello dell’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso che è riuscito a far parlare del Sudan solo perché è tornato a esercitare la professione di medico a Yrol.
Nessun interesse profondo e analitico per il contesto politico, sociale, economico, sanitario in cui questi eventi avvengono. Nella maggior parte dei casi ci si limita alla descrizione del fatto in sé, tranne che per pochi reportage e approfondimenti. E soprattutto si tende a filtrare attraverso una lente altamente drammatizzante e enfatizzante. Altro elemento, questo, che non facilita la comprensione. Nel rapporto si parla infatti di “trattazione patemica dell’evento” in particolare riferito alla Siria e all’Afghanistan, in cima alla classica dei nostri media. Un esempio recente, forse il più drammatico degli ultimi tempi, è quello della “decapitazione” (in realtà si è trattato di una pratica ancora più barbara) di tre persone nei pressi di Ghassanieh (sembra).
Diamo i numeri…
Eppure, secondo un sondaggio commissionato da MSF all’Eurisko, un mese fa, “il 63% della popolazione italiana desidera ricevere dai media più informazioni sulle emergenze umanitarie” per poter dare il proprio contributo. Quest’anno, invece, l’Africa sembra essere scomparsa dall’agenda dei notiziari. Se la Nigeria è stata coperta 226 volte, per via delle stragi contro i cristiani e per sequestri e rapimenti, quando si parla di Somalia, dove in questi ultimi due anni 260mila persone sono morte a causa della carestia, troviamo 30 notizie, legate sempre e solo a rapimenti e alla questione della pirateria. Seguono poi le 26 del Mali (ma solo tre per accendere i riflettori sulla ripresa delle ostilità e nessuna sulla crisi alimentare e sulla malaria), le 17 del Sudan e Sud Sudan (di cui otto grazie all’arresto di George Clooney durante un sit-in di protesta) fino a tre sole notizie sul Congo, nessuna delle quali fa cenno alla realtà del Paese.
Dodici volte si è parlato di Africa in relazione a iniziative di beneficenza e cooperazione, ma quando si tratta di questioni specifiche come malattie e problemi nutrizionali, le luci si spengono di nuovo, tanto che dei sette servizi dedicati in tutto l’anno all’HIV e all’Aids, due sono in occasione della Giornata Mondiale della Lotta all’Aids e quattro legati a personaggi dello showbiz.
Va meglio, ma non troppo, per quei Paesi come l’Egitto (195 notizie) e la Libia (97) che dopo l’ubriacatura mediatica del 2011 sono ancora alle prese con forti sconvolgimenti politici, o come Israele e Palestina (170 notizie) in cui alla fine dello scorso hanno si è consumata un’altra breve guerra, all’interno di un conflitto mai sopito. Va decisamente male per chi ha vissuto la triste gloria della ribalta nel passato come l’Iraq, dove ogni giorno si contano attentati e vittime, e che ha guadagnato solo 12 spazi in un anno.
Cosa significa tutto questo? Che in Italia, soprattutto in tv, degli scenari internazionali di crisi si parla poco e male.
“Ogni anno stiliamo la lista delle ‘Crisi dimenticate’ con un augurio: che l’anno successivo sia vuota”, spiega Loris De Filippi, presidente di MSF Italia.
“Esiste un significativo squilibrio tra le sofferenze delle popolazioni e la copertura data dai media, in particolare dai Tg”.
Anche da questo è nata l’esigenza di rivolgersi direttamente ai direttori delle testate con una lettera aperta, scaricabile dal sito, in cui si chiede a “tutti i media italiani di sostenere gli sforzi per portare le crisi dimenticate all’attenzione dell’opinione pubblica, in modo da non lasciare nell’oblio le persone vittime di conflitti, catastrofi naturali e che soffrono a causa della malnutrizione o di altre malattie”.
Vai a www.resetdoc.org
Nella foto: in fila per l’acqua potabile a Haiti
” Vi ringrazio per la “consistenza” dell’articolo e soprattutto per l’asserzione perfetta: “Che in Italia, soprattutto in tv, degli scenari internazionali di crisi si parla poco e male.”
Cordialita’