Da Reset-Dialogues on Civilizations
Dopo le ultime concitate ore di campagna elettorale, Teheran e il resto del Paese attendono l’esito delle urne. Dalle 8 di mattina più di 50 milioni sono chiamati a scegliere tra i sei candidati, Said Jalili, Baqer Qalibaf, Ali Akbar Velayati, Hassan Rouhani, Mohsen Rezaei e Mohammad Gharazi. Un milione e mezzo, in base ai dati diffusi domenica dal Ministero dell’Interno, quelli che voteranno per la prima volta e cioè coloro che hanno compiuto diciotto anni dopo il giugno 2009. Sessantamila i seggi aperti. A Teheran, che da sola conta in tutta la sua area metropolitana circa 14milioni di abitanti, saranno allestiti seimila centri in cui votare: scuole, moschee, banche e postazioni mobili, con 12mila urne.
Una volta consegnata la tessera elettorale, registrata la propria presenza e imbevuto il dito indice con l’inchiostro, si va alla ricerca del proprio spazio, non una cabina chiusa, ma spesso un tavolo, condiviso. Anche su questo dovranno vigilare i duecentomila funzionari che monitoreranno il processo di voto, seimila dei quali resteranno nell’area della capitale. I seggi chiuderanno alle 20. I risultati, già domani. All’estero, in 96 Paesi, si contano invece 285 seggi per un totale di 850mila schede.
Le autorità iraniane hanno richiamato gli Stati che ospiteranno le consultazioni affinché provvedano alla sicurezza dei seggi e impediscano ad alcuni gruppi “terroristici” di disturbare le consultazioni. Non è chiaro se ci si riferisca ai Mujahidin del Popolo, una formazione fuorilegge composta da dissidenti politici che hanno compiuto reali atti terroristici nel Paese, o in generale ai detrattori esterni. È a questi ultimi che, però, ha fatto riferimento la Guida Suprema Ali Khamenei, lanciando un estremo appello alla partecipazione di massa per deludere il nemico e ridurre le pressioni.
“Un’alta affluenza è la cosa più importante per il Paese. Con la sua potente azione, venerdì, la nazione dimostrerà il profondo legame e rapporto con le istituzioni islamiche e ancora una volta sconfiggerà e deluderà il nemico”.
“L’epica politica – ha concluso Khamenei – è già cominciata oggi e venerdì con la speranza, la fiducia e la determinazione del popolo raggiungerà il suo apice”.
Quale presidente in Iran?
Dopo le uscite di scena di Aref e Haddad-Adel, restano in sei (un riformista contro tre conservatori, e due indipendenti) in gioco per la poltrona di Piazza Pasteur che nei prossimi 4 anni guiderà l’esecutivo iraniano.
I poteri del presidente, nella Repubblica Islamica dell’Iran, infatti, equivalgono più o meno a quelli di un capo del governo (da quando nel 1989 è stata eliminata la figura del primo ministro), mentre i settori fondamentali nella gestione del Paese, come il comando delle forze armate, della magistratura, della tv di Stato, restano nelle mani della Guida Suprema, al vertice della piramide.
Di fatto il presidente della Repubblica mantiene un raggio di azione autonomo nelle politiche economiche e anche in quelle internazionali, che poi sono i nodi centrali che dovrà affrontare il successore di Ahmadinejad, anche se in questi otto anni abbiamo visto come i tentativi di guadagnare una propria platea e un certa autonomia, soprattutto in politica estera, non sono piaciuti molto a Khamenei.
Un uomo, di nazionalità e origini iraniane, di un’elevata statura morale, con comprovate conoscenze dell’Islam, oltre che un buon fedele, sarà il settimo presidente, eletto a maggioranza assoluta, con il 50% più uno delle preferenze, altrimenti, come i sondaggi profilano, si andrà al ballottaggio il 21 giugno.
Il fronte conservatore che fa capo alla Guida Suprema, composto da Said Jalili, Baqer Qalibaf, Ali Akbar Velayati, potrebbe pagare il fatto di aver riunito personalità troppo di spicco per scegliere di sacrificarsi in nome di un obiettivo comune; come invece hanno fatto i riformisti, invitando Aref ad abbandonare il campo per raccogliere tutte le preferenze sotto il nome di Hassan Rouhani.
Una scelta dell’ultimo munito che, a vedere la massa dei sui sostenitori sfilare ieri per le strade di Teheran e la rinascita di un nuovo entusiasmo, sembra azzeccata.
Il coniglio dal cappello, però, potrebbe essere anche Mohsen Rezaei. Alcuni sondaggi lo danno in testa e, a sentire molti iraniani, anche quelli di fede progressista, ha buone competenze in campo economico (ed è questo che sta a cuore ora alla popolazione) oltre ad aver speso gli ultimi quattro anni nella preparazione di questo appuntamento, girando il Paese, soprattutto nelle zone depresse, tra la gente. Resta poi l’ex ministro delle Telecomunicazioni, Mohammad Gharazi, di cui però la cronaca sembra essersi già dimenticata.
Election o S-election?
Nonostante moniti pomposi e numeri che parlano di un grande evento, maggiore anche di quello che quattro anni fa che portò ai seggi l’85% degli aventi diritto, si temono questa volta percentuali di votanti molto più basse. Ed è questo il principale nemico per la Repubblica; più che quello esterno. I timori non riguardano solo le proteste che sono state scongiurate nel corso di questi quattro anni demoralizzando l’opposizione con politiche di controllo più o meno dure a seconda dei periodi, ma la totale disaffezione che significa il venir meno ai principi della Rivoluzione e della Repubblica Islamica.
In questi giorni, molti di quelli che hanno deciso di non votare perché non si rispecchiano nelle istituzioni, hanno coniato il termine “s-election” per definire queste elezioni, i cui candidati sono effettivamente, in base ai poteri che la costituzione conferisce al Consiglio dei Guardiani, il frutto di una selezione operata a monte.
Sulla rete, un po’ provocatoriamente, un po’ per gioco e un po’ come reazione a personalità non considerate rappresentative, c’è la possibilità di votare un candidato virtuale, anzi una candidata. Si chiama Zahra. Genere e nome non sono scelti a caso. Zahra è l’identità di una madre, il cui figlio scomparve dopo le manifestazioni del 2009; ma Zahra è anche il nome della moglie di Moussavi, Zahra Rahnavard, che è diventata simbolo, assieme al marito, dell’Onda Verde. Zahra è, infine, la protagonista di un fumetto e di una campagna virtuale che fa eco ad altri tentativi simili sul web. Il più famoso è forse quello del ben noto Garry Kasparov , “We Choose”, una piattaforma che mette simbolicamente in rete diciotto candidati: i sei reali più altri 12, fra cui compaiono nomi di forte presa, come quello del regista Jafar Panahi e dell’avvocatessa in prigione Nasrin Sotoudeh, e altri più controversi come Mariam Rejavi, leader dei Mujahidin del Popolo, o Reza Pahlavi, figlio dello shah.
Tutto questo, a conforma del profondo movimento attorno a queste appuntamento che ormai si combatte anche sulla rete. Lo fanno le autorità iraniane, lo fanno i cyber attivisti, ed è lì che ci aspettano, forse, le azioni più clamorose. Google ha già denunciato che gli account Gmail di decine di migliaia di utenti iraniani sono stati attaccati da hacker, a partire dalle scorse settimane.
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Nella foto: La torre Milad a Teheran