Oakeshott,: il razionalismo in politica o dell’ossessione per la perfezione e l’uniformità. Un esempio del conformismo culturale italiano è data dalla scarsa o nulla fortuna che da noi hanno avuto alcuni autori, filosofi o teorici politici, che pur sono considerati altrove dei classici. Gli studiosi e le riviste di settore preferiscono per lo più arare sempre gli stessi terreni, di tematiche e autori, piuttosto che compiere una necessaria opera di aggiornamento o proporre quelle nuove e originali prospettive che danno un senso e rendono interessante il discorso culturale. Uno dei casi più eclatanti in tal senso a me è parso, da un po’ di tempo a questa parte, quello di Michael Oakeshott (1901-1990), che, pur essendo fra i maggiori teorici politici del Novecento, da noi è praticamente sconosciuto. Sono perciò rimasto positivamente impressionato dall’apprendere stamane che l’Istituto Bruno Leoni inaugura una nuova collana di “Classici della libertà” proprio con un piccolo gioiello dell’autore inglese (si tratta di una collana, in verità, molto oriented, come è nello stile dell’Istituto, contenente anche opere di autori la cui impostazione filosofica generale è oggi alquanto discutibile: essa ha tuttavia il merito, va riconosciuto, di proporre un percorso originale di brevi saggi introvabili in italiano: http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=13707) E’ veramente strano, e significativo al tempo stesso, che Razionalismo in politica, questo il titolo del saggio del 1962, non fosse mai stato pubblicato in italiano: esso ebbe infatti, già al momento dell’uscita in Gran Bretagna, una grande fortuna, diventando in poco tempo un classico e un punto di riferimento per gli studiosi di scienze sociali e per chiunque abbia a cuore le sorti della libertà. Esso affronta di petto quello che è stato uno dei presupposti fondanti l’epoca moderna e la sua idea di politica: un pregiudizio in cui ancora oggi siamo completamente immersi e che avrebbe poi trovato di lì poco, a livello di teoria, una titanica celebrazione nel tentativo rawlsiano di fondare una “teoria della giustizia”. Si tratta di quella che Oakeshotti definisce l’ossessione per la perfezione e per l’uniformità. E che è un atteggiamento mentale prima ancora che pratico, anche se poi è nella pratica della politica che esso si è sperimentato in modo anche tragico (si pensi ai totalitarismi del Novecento) e che, potemmo dire, si continua a sperimentare ogni giorno con tante proposte politiche volte a regolare (giuridicizzare) i comportamenti umani secondo un’idea di benessere e felicità stabilita a priori e dall’alto. Anche il proposito di affidare la politica a tecnici o competenti affonda la sua origine, a ben vedere, nell’idea di trovare la soluzione “adeguata” primi di immergersi nell’imperfezione della vita pratica. Ciò comporta una conseguenza molto negativa da un punto di vista liberale: l’invocazione o l’esercizio di una sorta di paternalismo di Stato che deresponsabilizza gli individui e crea un coltre di conformismo da cui è difficile evadere se non a costo dell’esclusione sociale. In questo modo il rischio più grosso delle nostre società è che in esse finiscano per essere represse proprio quelle forze creative, innovative, originali, spiazzanti, su cui da sempre si è fondato il progresso umano. Giustamente Oakeshott ripete che non ci deve mai aspettare che la propria felicità venga dalla politica o dallo Stato. (sempre in questi giorni l’editore Rubbettino manda in libreria La politica moderna tra scetticismo e fede, un’importante opera postuma di Oakeshott del 1996). Ciò che, in definitiva, risulta confermato, anche in quest’autore, è quella che a me sembra una elementare verità: che cioè perfezionismo e paternalismo sono i più radicali nemici dello spirito liberale. Da parte mia, nel mio ultimo libro, ho provato ad individuare proprio un percorso di pensiero liberale che questa idea ha rigorosamente sviluppato: da Kant a Humboldt, da Mill a Einaudi
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