LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Flores d’Arcais e la realtà ignorata

Libri.

Quel che colpisce nel recente pamphlet di Paolo Flores D’Arcais La democrazia ha bisogno di Dio. Falso! non è, di per sé, il vasto repertorio di espressioni  e giudizi giacobini con cui l’autore si riferisce alla religione (manto delle proprie “ubbie, frustrazioni e altri spurghi dei fondali psichici») e al credente (“civicamente minus habens” in quanto incapace di prescindere da argomenti religiosi nel dialogo pubblico); né, di per sé, la funzione del tutto unilateralmente negativa che si attribuisce alle religioni (drammatizzazione dei conflitti, ghettizzazione delle differenze, sostituzione di pretese di validità argomentativa nel dialogo pubblico con pretese di autorità), cui non si attribuisce alcun ruolo di critica sociale e parte nella costruzione di un mondo meno asservito agli imperativi del mercato e del potere (come pure a volte a sinistra capita di sentire, si veda l’intervento di Bertinotti sul domenicale del Sole 24 ore del 6 ottobre). Stile e personalità dell’autore spiegano ampiamente l’una e l’altra estremizzazione.

Quel che colpisce, in pagine come quelle di Flores d’Arcais, è la mancanza di attenzione e interesse per il ‘dato’ sociologico. L’autore costruisce per sé un mondo a complessità radicalmente ridotta, a tinte in bianco  e nero, in cui tra credenti e non credenti esistono confini netti e invalicabili, trincee da difendere e posizioni da mantenere e conquistare. Un mondo del genere, tuttavia, è abitato solo da ‘laici furiosi’ – per riprendere l’espressione di Giancarlo Bosetti – e da integralisti di varia specie, religiosi e no. Ma si tratta di un mondo ricavato o da generalizzazione delle proprie aspirazioni all’esercizio delle virtù marziali o da realtà sociali e politiche del tutto provinciali, come in alcuni casi le discussioni italiane e i rapporti tra politica e religione nel nostro Paese. Nella realtà del panorama contemporaneo, tuttavia, quel che c’è di rilevante e che tanta ricerca sociologica cerca di mettere a fuoco è esattamente il contrario, ossia il venir meno di confini nitidi tra forme secolari e forme religiose di vita, il formarsi di identità sociali tra sacro e secolare, l’incremento di riflessività delle une come delle altre e i meccanismi di apprendimento complementare che su questa base si innescano. Mentre Flores d’Arcais combatte la sua battaglia di retroguardia per ispessire i muri di separazione, proprio sui terreni che vorrebbe bonificare dalle religioni – scuole, carceri, ospedali, palestre etc. – si sperimentano modalità inedite di ibridazione e gestione delle differenze il cui esito alle volte è un ripensamento tanto dell’idea del secolare quanto del religioso. La traduzione politica di profondi processi di modificazione dei rapporti tra religioso e secolare sul piano sociologico è ben lungi dall’essere chiara, ma dalla Turchia post-kemalista fino all’Europa post-guerra fredda, è evidente che la modernità deve e sta ripensando se stessa lungo linee alternative a quelle forse nitide ma certamente semplicistiche del passato. Quel che colpisce in un pamphlet come quello di Flores d’Arcais (e che ha colto Marco Ventura in una recensione sul Corriere della Sera del 7 ottobre) non è, di per sé, la mal celata nostalgia per un clima da perdurante guerra fredda, in cui buoni e cattivi siano chiaramente identificabili e il quadro sia privo di ambiguità, quanto piuttosto la mancanza di attenzione e interesse per una realtà che invece ci propone quotidianamente e quasi ovunque situazioni che sfidano consolidate categorie di interpretazione dei rapporti tra religione, società e politica.

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