CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

E’ più pericolosa l’incultura di massa o la mezza cultura dominante?

Uno dei j’accuse in voga, almeno in certa intellettualità più o meno salottiera, è quello rivolto all’incultura di massa che si sarebbe generata in Italia negli ultimi lustri sulla scia del predominio televisivo berlusconiano (con finezza in altri mancante questa tesi è perorata ad esempio da Massimiliano Panarari nel suo ormai classico L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip, Einaudi). A parte il fatto che la teoria “culturalista” o “sovrastrutturalista” dei fenomeni sociali non è convincente, a mio avviso la tesi affermata non trova molti riscontri nei fatti: sia perché la televisione non ha l’ enorme potere che le si vorrebbe attribuire; sia perché Berlusconi non ha mai controllato tutti i mezzi di comunicazione esistenti, e del tutto direi nemmeno quelli in suo possesso. Mi sembra che il suddetto luogo comune, ripetuto come una sorta di mantra, sia servito il più delle volte in questi anni ai competitor di Berlusconi per esorcizzare la realtà, per non fare i conti con essa mercé un’ analisi seria delle trasformazioni incorse nella nostra società e con i nuovi bisogni in essa maturati. Che possono anche non piacerci, ma che, a maggior ragione se li si vuole modificare, vanno prima di tutto capiti e studiati. Ma tant’è! Non è questo il punto. Il fatto è che, ammesso pure che in Italia ci sia oggi una diffusa incultura di massa, più forte che nel passato, il vero problema è un altro. E cioè la presenza, sempre qui da noi, di una diffusa mezza cultura che tende a tutto fagocitare e confondere in un mainstream che di culturale ha ben poco. Tanto più pericoloso perché esso conquista anche molti bravi giovani ai quali, nella crisi generale del sistema dell’istruzione e della trasmissione del sapere, mai nessuno ha fatto capire che cultura è l’acquisizione di un metodo e non un generico sentimento di adesione a suggestioni spesso trasmesse ad arte: è spirito critico e non frasi fatte e automatismi di pensiero, metodo e non contenuti particolari. Se a tutto ciò aggiungiamo la pervasiva retorica sul libro; sulla lettura, che è cosa buona e giusta e apre la mente (dimentichi che la vera cultura non rassicura ma inquieta); oppure sull’ “evento culturale” e la lectio magistralis del guru di turno (si pensi ad un sociologo un tempo stimato come Bauman costretto ad essere oggi in Italia una sorta di itinerante “fenomeno da baraccone” che nel reiterare se stesso non può che finire a dire banalità) …. Sono fenomeni che i giornali, gli editori, il sistema dei festival e delle manifestazioni assecondano e rafforzano. E anche a buon diritto dal loro punto di vista, sol che si pensi alla forte crisi di settore e all’esigenza di fare cassetta. Ma sono anche fenomeni che dovrebbero comunque destare qualche attenzione preoccupata in chi tiene alla cultura nel senso proprio e classico (occidentale) del termine (e che non coincide ovviamente con quella accademica). Per far capire con un’immagine eloquente a qual punto si può arrivare, vi dico che domenica scorsa mi è capitato di vedere esposto, in un “caffè letterario” di Torino, persino un cartellone che invogliava alla lettura di Cervantes, Dante, Shakespeare … Camilleri (a cui è stato persino dedicato un “Meridiano”, sic!) … Erri De Luca (doppio sic!) … Sarebbe l’ora, dico in conclusione a mo’ di celia, che qualche istituzione seria e autorevole, tenendo conto di questa involuzione, patrocinasse un rapporto sullo “stato della cultura” in Italia, del tipo ad esempio di quello che l’Unesco commissionò nei tardi anni Settanta a Jean-Francois Lyotard e da cui venne fuori l’opuscoletto sulla condizione postmoderna.

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