GERUSALEMME – La scuola di cinema di Gerusalemme è il simbolo dell’avvicinamento che c’è stato negli ultimi anni tra l’anima laica sionista e quella religiosa tradizionalista, un fenomeno nuovo nella società israeliana. Da sempre, l’intelligenzia sionista che veniva dai kibbutz finora non aveva mai mostrato interesse per i religiosi e i loro costumi medievali.
Oggi invece non è più così, come dimostra l’affluenza all’Israel Museum di Gerusalemme per vedere la mostra sulla vita degli Haredin (ultraortodossi). E al Museum of Art di Tel Aviv il festival di Shavuot (che celebra il giorno in cui Dio dette la Torah al popolo ebraico) ha visto una partecipazione popolare senza precedenti. E se la distanza tra l’Israele moderno e quello religioso è diminuita, il merito è anche di una scuola di cinema a Gerusalemme cha ha formato registi e autori che provengono dagli ambienti religiosi e le cui opere ormai entrano nelle case israeliane attraverso la tv, il cinema, o la musica.
“Per decenni, alla tv e al cinema le regole religiose, viste attraverso gli occhi di registi laici, apparivano solo astruse, gli haredin quasi disumani. La nostra scuola ha cercato di attrarre al cinema la popolazione religiosa che un tempo considerava il cinema peccato e oggi i loro figli sono diventati ottimi professionisti, capaci di mostrare i problemi della società religiosa da una angolazione più complessa perché li vivono dal di dentro”, dice Einat Kapach, direttrice delle relazioni internazionali della Maale School of Cinema di Gerusalemme e regista lei stessa.
“Il nostro scopo era di costruire dei ponti, e ci siamo riusciti”. La sede della scuola è stata scelta, simbolicamente, al confine tra Gerusalemme nuova e il quartiere ultraortodosso di Meah Shaarim, su quella che prima della guerra dei Sei giorni era conosciuta come la greenline. “Il solo limite che abbiamo fissato per i nostri film è che non ci siano scene di nudo e di sesso esplicito e che il linguaggio non sia osceno. Altri limiti non ce ne sono. Alcuni nostri insegnanti sono laici, altri religiosi. Vogliamo promuovere un vero dialogo. Una volta al mese, rabbini, accademici e intellettuali di varia estrazione si incontrano qui per discutere con gli studenti sui film e sui temi trattati – che naturalmente riguardano quasi sempre l’intersezione tra ebraismo e modernità, visto che la maggior parte degli studenti vengono da famiglie religiose”.
Ohad studia nel programma speciale delle Forze armate israeliane per i soldati ortodossi, è solo, non ha amici, non vuol far trapelare nulla delle proprie inclinazioni omosessuali, e dopo aver cercato consiglio in una hotline religiosa su internet si convince di aver superato la propria “malattia”.
Però quando torna dal servizio militare il suo compagno di studi, Nir, capisce che le cose non stanno così, e che dal quel momento dovrà affrontare il problema con se stesso, con la famiglia, e con Dio. Rivki Cohen, la giovane sposa di un haredi, viene stuprata da un uomo che bussa alla sua porta per chiedere la carità. Impura secondo la legge ebraica, non può più essere toccata dal marito che è un Cohen, un discendente della casta sacerdotale.
Entrambi sperano disperatamente che il tribunale rabbinico non lo obblighi a divorziare, ma il problema sembra insolubile. Alla fine sarà trovato un escamotage (un po’ ingenuo, almeno ad occhi laici): siccome per stabilire lo stupro non basta il racconto di lei ma sono necessari due testimoni, non si po’ affermare che ci sia stato stupro e perciòil divorzio non è obbligatorio. Ohad e Rivki sono i protagonisti di due film di medio metraggio prodotti dalla scuola che hanno avuto molto successo e molti premi. Non tutti i film sono così drammatici. Per esempio The orthodox way racconta come sia difficile per i giovani ultraortodossi trovar moglie. Eli fa un blind date e finisce con la ragazza sbagliata, con cui gira per tutta la sera per le strade di Gerusalemme.
Ci sono storie di ribellione, come quella di Eicha, che vive in un settlement e siccome è nata nel giorno di Tisha B’av, in cui viene commemorata la distruzione del Tempio, è stata chiamata Eicha (Lamentazioni, il cui libro viene letto quel giorno). A diciotto anni decide di cambiare nome e identità.
Altri film come Barriers trattano dei territori occupati, tema paradossalmente raro, perché tutti in Israele sono ormai rassegnati al fatto che una soluzione non esista e che quella declamata sui futuri “ due Stati” siano parole al vento in cui nessuno crede). Barriers è la storia del dilemma di Uri, un giovane ufficiale di guardia a un checkpoint dove arriva una bambina palestinese con una crisi diabetica che deve essere ricoverata immediatamente in ospedale proprio mentre ill comando israeliano ha decretato l’allarme rosso, e nessun veicolo palestinese può superare il check point.