Il governo presenta il rapporto sulla corruzione

Il Corriere della Sera. “Province tagliate, ecco la mappa. Pronto il decreto del governo, nessuna deroga. I dipendenti potranno essere trasferiti. Subito 36 in meno, da giugno 2013 tutte commissariate”. A centro pagina: “Pd e Pdl avvertono Monti:su scuola e fisco si cambi”.

La Repubblica: “’No alla legge bavaglio’”. Pd e Udc si dicono pronti a frenare qualsiasi provvedimento di “censura” sulla stampa: “Il provvedimento rischia di colpire la stampa. I democratici: se è così, pronti a ritirare la firma. E’ battaglia sul Ddl Sallusti e sul voto di scambio”. A centro pagina: “Partiti contro la manovra. Scuola, Profumo ci ripensa”. Di spalla il Libano:”La rivolta dei ragazzi di Beirut, assalto al palazzo del governo”.

 

La Stampa: “Manovra, lo stop di Bersani. Nel mirino del Pdl le norme sull’orario di lavoro dei prof. Il partito di Berlusconi chiede modifiche su detrazioni Irpef e Iva. ‘Si cambi su scuola e fisco o non votiamo’. Critiche anche dal Pdl”. A centro pagina una foto: “Castro, uno scatto per smentire la morte”.

 

L’Unità: “Scuola, il colpo è inaccettabile. Ultimatum di Bersani: non voteremo queste norme”. “E Rossi Doria assicura: nessun taglio ai posti di lavoro. A Roma sit in dei docenti davanti al ministero”. A centro pagina: “Renzi contro le regole: ci facciamo male. Il sindaco: con me il Pd al 40 pe cento, con gli altri al 25”.

 

Pubblico apre con il titolo “Bocciati” e la foto di Monti e Profumo: “Bersani annuncia che le norme sulla scuola nella legge di stabilità sono ‘invotabili’. Il governo rischia di cadere. E’ un effetto delle primari”.

 

Il Fatto quotidiano si occupa di gioco d’azzartdo: “Slot, fanno il loro gioco. E’ la droga di Stato. Incassati 4 miliardi in sei mesi: i tecnici si sono arresi alle macchinette. La criminalità ringrazia”:

 

Il Giornale: “Quando riavremo i soldi. Monti sembra il mago Otelma e annuncia una ripresa che non c’è. Intanto evita di fare le uniche cose che servirebbero davvero all’economia. Per esempio premiare la produttività”. Di spalla un articolo firmato da Alessandro Sallusti: “Maestro mestatore, serve più coraggio”. Ieri su La Repubblica Francesco Merlo definiva Sallusti “mestatore incallito”.

 

Pdl, Pd, Elezioni

 

Il Giornale, in un “retroscena”, parla di una “telefonata del disgelo” tra Berlusconi e Alfano. “Silvio chiama Angelino: ‘tra noi va tutto bene’. “Angelino, mi dicono che abbiamo litigato così tanto che forse non dovremmo neanche parlarci”, avrebbe scherzato l’ex premier. Ma, “al netto della conversazione amichevole”, “è difficile pensare che Berlusconi e Alfano non continuino ad essere su posizioni diverse. Il primo incerto tra il resettare il Pdl da zero oppure semplicemente cestinarlo, e il secondo convinto che sia possibile un rinnovamento ma senza necessariamente fare terra bruciata di quel che c’è adesso. Sfumature, ma fino a un certo punto”. Un altro articolo dello stesso quotidiano spiega che “Alfano prova a scuotere il Pdl. ‘Nuova squadra per ripartire’”.

Sul Corriere: “Alfano: presto una nuova squadra. L’ipotesi di un ‘direttorio’ con Frattini, Lupi, Meloni, Mauro e Fitto”.

 

L’Unità dà conto della decisione di Umberto Ambrosoli, corteggiato dal Pd per le Regionali in Lombardia. “Ambrosoli rinuncia: ‘c’è poco tempo per un progetto’. L’avvocato milanese indicato come candidato del centrosinistra, resta fuori dalla coalizione nonostante gli appelli di partiti e personalità”. L’avvocato ha diffuso l’annuncio via Twitter, spiegando che costruire un “gruppo di persone estremamente competenti sulle principali tematiche regionali”, elaborare un “programma concreto” e individuare con i partiti “criteri selettivi” per le candidature al consiglio abbisogna di tempo. “Le marce forzate con cui Formigoni ha dichiarato di voler portare la Lombardia alle urne non consentirebbe di lavorare adeguatamente ad un simile progetto”, scrive il quotidiano. Altri nomi in campo: Tabacci, Biscardini, il sindaco di Lodi Lorenzo Guerini (sostenuto da Renzi), Beppe Civati, Giulio Cavalli di Sel, Stefano Zamponi dell’Idv, Alessandra Kustermann.

La Repubblica scrive che il 2 o il 16 dicembre potrebbero svolgersi le primarie lombarde della coalizione di centrosinistra. Il quotidiano scrive anche che sul fronte del centrodestra la candidatura di Gabriele Albertini “incoronato” suo successore da Formigoni, non pare essere presa in considerazione da tutto il partito. Ieri ad Arcore Berlusconi avrebbe ribadito la necessità di un candidato che prenda anche i voti della Lega – come il segretario del Carroccio Roberto Maroni e non di chi, come Albertini, scava solchi.

 

Secondo Il Giornale, che pure riferisce del vertice di ieri ad Arcore, il Pdl pensa ad un percorso ben diverso da quello del presidente della Regione Formigoni, che spinge per andare ad elezioni a dicembre: si parla di primarie di partito e poi di coalizione. Insomma, tempi più lunghi, per arrivare all’election day di aprile, come ipotizzato dalla Lega.

 

Su L’Unità il deputato del Pd Morassut indica in Andrea Riccardi il nome migliore per le comunali a Roma: “Io non so se il no di Riccardi sia definitivo, spero che non lo sia. Però l’indirizzo è quello: nel day after del degrado civile, economico e morale di cui si è resa responsabile la destra, dobbiamo creare uno schieramento ampio che, partendo dalla lettura della realtà, dia risposte ai bisogni sociali.

Su La Stampa: “Fuga da Roma, cercasi sindaco disperatamente. Zingaretti era in pole. ‘Ma alla Regione c’è una voragine’. Sale lo spettro di Grillo”.

 

Renzi, Bersani

 

Ieri nel corso di una intervista tv il sindaco di Firenze Matteo Renzi è tornato a parlare delle primarie e del futuro del Pd: “Con me il Pd arriva al 40 per cento, mentre il Pd degli altri, se va bene, arriva al 25”. Su Monti: “Ha ridato autorevolezza al Paese, ma è un governo privo di anima: chi vince le primarie è il candidato del centrosinistra, e vinte le elezioni dovrà governare l’Italia. Non credo al Monti bis”. Ne riferisce ampiamente La Repubblica, dando conto anche di due attacchi riservati da Renzi direttamente a Bersani. Il primo sulle primarie: “Hai fatto male a cambiarle, segretario, mi dispiace per te. Hai dimostrato la vostra paura, e chi si candida a governare non può temere il voto dei diciassettenni”. Il secondo fendente è ancora sul caso Cayman (dopo le polemiche legate alla organizzazione di una cena di autofinanziamento promossa dal finanziere Davide Serra, ndr): “Non esistono una finanza buona e una cattiva, ma esiste la politica autorevole che non è subalterna alla finanza. Quel che è accaduto a Siena al Monte dei Paschi è l’esempio negativo di questa politica”; la sinistra “non si vergogna di parlare con la finanza ma crede nel principio della solidarietà con i più deboli e nella necessità di premiare il merito e mettere tutti nelle stesse condizioni al nastro di partenza per la corsa della vita”. La Stampa evidenzia come per la prima volta Bersani sia stato diretto bersaglio di Renzi, anche perché lo ha accomunato di fatto a certe avventure dalemiane del passato: “vogliamo una politica non subalterna alla finanza, certo – ha detto Renzi – ma ricordo che abbiamo persino avuto un premier che, il giorno prima dell’Opa su Telecom, definiva ‘capitani coraggiosi’ la cordata di quell’intervento”. Il tutto nel giorno in cui il ministro Passera ha difeso Davide Serra: è una persona di grandissima qualità, non soltanto professionale ma anche personale.

Sulle primarie, ancora Renzi: “Avete cambiato le regole in corso d’opera per paura di infiltrazioni dalla destra. Peccato, le primarie a Napoli le avete infiltrate voi con i capibastone del centrosinistra. Lo stesso quotidiano intervista il governatore della Toscana Enrico Rossi, considerato un bersaniano di ferro, tanto che era contrario a cambiare lo Statuto per far correre il sindaco di Firenze. Dice: “Il personaggio non difetta di sicumera, ma c’è solo un dato reale, le elezioni a sindaco di Firenze, quando non vinse al primo turno”.

 

Corruzione

 

Il Corriere della Sera ricorda che oggi tre ministri del governo Monti – Cancellieri agli interni, Severino alla Giustizia e Patroni Griffi alla Funzione pubblica – presenteranno il rapporto di 400 pagine sui danni all’economia provocati dalla corruzione, che si traduce in una “tassa Italia aggiuntiva” per gli appalti, quantificabile nel 25 per cento dei costi generali e del 40 per cento per le piccole e medie imprese. Il percorso del Ddl anticorruzione non è ancora terminato, e i partiti sono alle prese con i codici etici di autoregolamentazione per avere liste pulite alle prossime elezioni. L’autoriforma potrebbe costituire un salvagente nell’ipotesi che il governo non facesse in tempo ad esercitare la delega contenuta nel ddl anticorruzione: quella che prevede la non candidabilità per chi subisce una pena detentiva superiore ai 2 anni per delitti contro la pubblica amministrazione o di particolare allarme sociale. Il ministro degli interni Cancellieri ha confermato che il governo “non perderà un solo minuto” nella predisposizione dello schema di decreto legislativo in modo che “eventuali ritardi non siano da addebitare all’esecutivo”.

 

La Repubblica torna ad insistere sulla possibilità che il governo decida la via del decreto per intervenire sulle questioni voto di scambio e prescrizione. “Il decreto è una necessità” dice, intervistata dal quotidiano, la capogruppo del Pd al Senato Finocchiaro.

 

Secondo L’Unità i tecnici del ministero della giustizia si stanno muovendo in due direzioni sul voto di scambio e la prescrizione. Il voto di scambio (416 ter) punisce oggi se il voto politico espresso nell’urna viene pagato con soldi. Ma raramente il passaggio di soldi è rintracciabile e dimostrabile. Ben più diffuse, come merce di scambio, sono le altre ‘utilità’, dall’appalto al posto di lavoro. Per i tecnici del ministero, però, si tratta di analizzare bene la giurisprudenza della Cassazione per circoscrivere la fattispecie delle utilità per evitare letture troppo estensive”. Sul fronte della prescrizione, la prima ipotesi, più radicale, prevede la sospensione dei tempi della prescrizione quando inizia il processo (anziché al momento della commissione del reato ndr). La seconda, che L’Unità definisce più chirurgica, prevede di sospendere di più e più spesso i tempi della prescrizione, specie di fronte alle eccezioni delle difese.

 

Diffamazione

 

Da domani l’Aula del Senato inizierà ad occuparsi del disegno di legge di modifica delle norme sulla diffamazione, sull’onda della vicenda Sallusti. I primi firmatari del testo erano i senatori Vannino Chiti del Pd e Maurizio Gasparri del Pdl: doveva essere – scrive La Repubblica – un impegno bipartisan per eliminare la possibilità del carcere come pena per la diffamazione. Ma il senatore Chiti dice che “se verrà fuori un pasticcio, toglierà la propria firma”. Aveva previsto un obbligo di rettifica da parte del giornale con lo stesso spazio e lo stesso rilievo della notizia, per bloccare il procedimento penale. Ma secondo Chiti in Commissione giustizia le cose sono cambiate. Lui non fa parte della stessa commissione, dove invece la vicenda è seguita da vicino dall’ex pm e senatore Pd Casson. Suo era uno degli emendamenti che prevedeva che il giornalista recidivo nella diffamazione sia interdetto per un periodo da uno a tre anni. Ma, come lo stesso Casson dice, “il punto di partenza era l’interdizione perpetua”. Un altro articolo del quotidiano ricostruisce “l’escalation delle punizioni” nel corso dell’esame del testo. Il quotidiano intervista il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: “Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all’editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati, rischia di essere compromesso”. La vicenda parte dalla questione Sallusti, direttore de Il Giornale. Zagrebelsky sottolinea: “Nel caso dell’articolo in questione, non si tratta di opinioni da della attribuzione di fatti determinati, risultati palesemente falsi. Il reato consiste nella omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata”. Lo è? “Siamo di fronte ad una valutazione politica, di opportunità: stabilire se il carcere è adeguato, proporzionato, utile. La mia risposta è no. Il carcere non è adeguato”. Quali sarebbero le sanzioni adeguate, secondo lei? “Innanzitutto quella pecuniaria, come risarcimento del danno morale derivante dalla lesione della onorabilità delle persone: un bene importantissimo, quasi un bene sommo”. “Poi, l’intervento degli ordini professionali, cui spetta la tutela della deontologia, a tutela della onorabilità della professione. A me pare che le misure interdittive dell’esercizio della professione siano coerenti con questa esigenza. Poi, occorrerebbe prevedere forme processuali particolarmente celeri, processi immediati. Il diffamato che cosa se ne fa di una sentenza che interviene dopo anni. Ciò che occorre è il ripristino dell’onore della persona offesa”.

 

Internazionale

 

Questa notte l’ultimo faccia a faccia tra il presidente Usa Obama e il suo sfidante Romney. In agenda, questa volta, la politica estera, dopo l’attacco al consolato Usa di Bengasi, nonostante gli elettori continuino a dare priorità alle questioni economiche, come scrive La Stampa. Il quotidiano ha un reportage dagli Stati in bilico nel voto ed inizia dall’Ohio: il destino del presidente deciso dagli operai dell’Ohio. Nessun repubblicano ha mai vinto senza conquistare questo Stato, e Obama ha un minuscolo punto di vantaggio. Qui i democratici sono avanti ai Repubblicani con il 36 per cento delle preferenze, contro il 29 per cento. Obama spera di farcela perché la disoccupazione in Ohio è al 7 per cento, quasi un punto sotto la media nazionale, e l’elettorato femminile è molto forte, ammesso che le donne siano ancora dalla sua parte. La Casa Bianca punta sulle fabbriche d’auto salvate, che tornano ad assumere. L’offensiva repubblicana ha il volto di Joe l’idraulico, che nell’ottobre 2008 divenne famoso quando, incrociando l’allora senatore Obama, gli chiese perché voleva alzare le tasse alle piccole imprese. “Se spalmi la ricchezza in giro”, rispose Barack, “è bene per tutti”. Il filmato di Joe the plumber venne usato dall’allora candidato presidenziale McCain per rovesciare le sorti di una campagna segnata.

 

Il Corriere della Sera, La Stampa e L’Unità ricordano il liberal George Mc Govern. L’America “ha perduto uno dei suoi grandi liberal e pacifisti”, scrive il Corriere della Sera. Fu il peggior candidato presidenziali, quello che nel 1972 fu sconfitto da Nixon per 520 a 17 grandi elettori, i delegati cui la Costituzione Usa affida la scelta del Presidente. Eppure, pochi presidenti mancati hanno lasciato sull’America una impronta così profonda. A lui l’America dovette la lotta alla fame e alla povertà sotto Kennedy, la fine della guerra nel Vietnam sotto Nixon e le riforme elettorali che sancirono il sistema delle primarie a cavallo del 1970. Aprì le primarie Democratiche alle donne e ai neri.

La Stampa ricorda che la convention del 1972, quella che gli diede l’investitura come candidato per sfidare Nixon, approvò la piattaforma più di sinistra della storia Usa: via le truppe dal Vietnam, no alla leva obbligatoria, amnistia per disertori ed obiettori di coscienza, lavoro fisso a tutti per decreto legge, congruo salario ai disoccupati, aborto, scuole miste di tutte le razze, anche a costo di trasferire con il bus i bambini bianchi nei lontani ghetti e i ragazzi di colore nei quartieri bene. Lo stesso Mc Govern ricorderà che non era riuscito ad imporsi neanche nel proprio Stato, il South Dakota, “dove pure tutti mi conoscevano e mi rispettavano”.

 

Da La Repubblica segnaliamo due intere pagine sulla crisi in Libano, dopo l’uccisione del generale dell’Intelligence Wissan Hassan. Ieri nel Paese ci sono stati scontri tra sostenitori dei fronti pro e anti Damasco. Il quotidiano ricorda che il generale era stato il motore di alcune inchieste vitali per le sorti del Paese ma, soprattutto, ad agosto aveva denunciato e fatto arrestare l’ex ministro dell’informazione Samaha, un sostenitore del regime di Damasco il quale, in combutta con il capo dei servizi segreti siriani, avrebbe ordito una trama stragista per destabilizzare il Libano. Una lunga analisi di Bernardo Valli raconta “la guerra esportata” dalla Siria al Libano. Il presidente Assad è pronto ad usare il Paese vicino, per trent’anni la Siria ha esercitato un potere diretto, i suoi se ne sono andati solo nel 2005. Il generale ucciso aveva contribuito a smascherare gli assassini del premier libanese Rafik Hariri.

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