Il Corriere della sera: “Renzi su Podemos: l’Europa cambi”. “Il caso greco fa andare giù le Borse”. “L’esecutivo Tsipras scarta l’ipotesi di rinviare i rimborsi”.
“I troppi equivoci su Atene” è il titolo dell’editoriale di Lucrezia Reichlin.
Il quotidiano offre anche un “colloquio con Prodi” dal titolo “C’è un rischio disgregazione”.
Il titolo più grande: “Migranti, un colpo all’Italia”. “I limiti alle quote: trasferibili all’estero solo gli eritrei e i siriani dei futuri sbarchi”. “Pressioni di Parigi e Madrid, un altro piano. Resta la soglia dei 24 mila, ma in due anni”.
A fondo pagina una intervista al regista Paolo Sorrentino: “‘Dopo Cannes impariamo dai francesi’. Il regista Sorrentino e i premi mancati: nessun rimpianto, ma la politica sostenga il cinema”.
La Repubblica: “Spagna e Polonia, sfida all’Europa”, “Intervista con il leader di Podemos, Pablo Iglesias: basta austerity, pronti a guidare il Paese”, “Renzi: ‘La Ue deve cambiare la sua politica’. Il fantasma della Grecia fa precipitare le Borse”.
A centro pagina: “Conti, altro rischio Consulta. ‘Una sentenza da 2,5 miliardi’”, “L’allarme lanciato da Equitalia”.
Sulla colonna a sinistra: “Lavoro, ad aprile oltre 200mila nuovi contratti”.
Di spalla a destra, un’intervista a Papa Francesco del quotidiano argentino “La voz del pueblo”: “Il fioretto di Francesco: ‘Non guardo la televisione’, ‘E’ un fioretto fatto 25 anni fa’. Il Papa informato dagli amici e dalla segreteria vaticana”.
A fondo pagina, la storia della “copertina” dell’inserto R2: “I lupi tornano a Wall Street e si nascondono nelle start-up”, di Federico Rampini.
La Stampa apre con le parole del presidente del Consiglio: “’Lavoro e fisco, Europa da rifare’”, “Renzi: in Grecia, Spagna e Polonia soffiano venti che ci costringeranno a cambiare. Documento italiano a Bruxelles chiede eurobond e indennità di disoccupazione”, “Rajoy: paghiamo le misure anti-crisi. Timori della Commissione per l’euroscetticismo del Presidente polacco”.
A centro pagina, “le tre spine del presidente del Consiglio”: “’Bisogna fare in fretta l’Ue politica’, Palazzo Chigi: passare da regole comuni a istituzioni comuni”; “’Non seguiamo l’Irlanda sulle nozze gay’, Il premier: restiamo sul modello tedesco. Ma Berlino lo cambierà”;“La terza via tra austerity e no euro. Il capo delo governo: solo macerie da 20 anni di centrodestra”.
Il Fatto: “L’imbroglio delle Poste. Spioni e lettere truccate”, “oltre 10mila mail svelano l’inganno: per assicurarsi i 300 milioni annui che il governo dà in cambio della puntualità del servizio, l’azienda ha intercettato il sistema di controllo esterno che ne certifica l’efficienza. Per anni il personale della Spa ha sorvegliato la corrispondenza e l’ha fatta viaggiare su una ‘corsia preferenziale’ per rispettare gli standard”.
A centro pagina: “Ora fanno tutti i Podemos. Ma da noi la sinistra non c’è”.
In prima anche attenzione per la Regione Veneto, il suo Presidente e in generale per le elezioni regionali del 31 maggio: “Zaia e l’indagine sui 50 milioni alle cooperative”, “Ex detenuti mai assunti e fondi per portatori di handicap finiti in una birreria: si muovono i pm di Venezia e Treviso. Liguria, il premier invece di Toti attacca i ‘rossi’ e Pastorino”.
A fondo pagina: “Le Ferrovie Nord ora ammettono: ‘I nostri soldi al legale di Maroni’”.
Il Giornale: “Ora Renzi ha paura”. “Fine delle spacconate”. “Il ritorno del Cavaliere in tv, le contestazioni in piazza e i dati economici terrorizzano il premier”. “Berlusconi: governo a casa se vinciamo in quattro regioni”.
A centro pagina un commento: “Grecia e Spagna non distruggeranno l’euro”.
Di spalla un articolo di Vittorio Feltri: “Un Papa che legge solo ‘Repubblica’ non capisce tutto il suo gregge”.
Il Sole 24 ore: “Rischio Atene, cadono le Borse”. “Piazza Affari perde il 2,1 per cento, il tasso Btp risale al 2 per cento, euro sotto i 1,10 dollari”. “Sui mercati pesano la vittoria degli euroscettici in Spagna e l’allarme greco (poi in parte rientrato) sui rimborsi Fmi”.
Di spalla: “Italia vulnerabile su debito e Pil”.
In alto: “Spagna, alleanza a sinistra. Podemos apre ai socialisti”.
A centro pagina: “Ad Aprile tornano i contratti a tempo”. “Il ministero: ‘il lavoro determinato (+111 mila) cresce anche per effetto della stagionalità”. “Nuovi impieghi a +210 mila. +48 mila posti fissi (36mila le trasformazioni).
Podemos
Su La Repubblica, pagina 2: “Podemos alla prova del potere. Gli ‘indignati’ verso il patto con il Psoe”, “Non sono riusciti a diventare seconda forza, ma con i socialisti possono scalzare il Pp in molte amministrazioni. E preparare così la partita delle politiche”. Scrive il corrispondente da Madrid Alessandro Oppes che “non c’è regione in cui Podemos sia riuscito ad occupare il ruolo di seconda forza. Sulla stessa pagina il quotidiano riproduce un’intervista al leader di Podemos Pablo Iglesias, con copyright “CadenaSer”: “E’ una vittoria storica, basta tagli e corruzione. Pronti a guidare il Paese”. Iglesiasi definisce “storico” quanto accaduto in Spagna: “si conferma che nei grandi momenti di trasformazione, le grandi città sono l’epicentro del cambiamento”. Sul successo delle piattaforme cui Podemos ha partecipato nelle grandi città, a differenza che nelle elezioni regionali, Iglesias spiega che “nell’assemblea di Vistalegre (atto costitutivo del partito, nell’ottobre scorso, ndr.), dicemmo chiaramente che alle comunali avremmo puntato sulle candidature di ‘unità popolare’ e nessuno lo capì”, “oggi si rivela che quella decisione strategica, inedita nel nostro Paese -che una forza politica ben situata nei sondaggi, decida di puntare su un altro tipo di formula per intervenire nelle elezioni municipali- si è dimostrato che fu una scelta azzeccata”. E per le elezioni generali “la partita è aperta”, dice. Cosa farete ora? In regioni come Estremadura e Castiglia La Mancha, la costituzione di un governo dipende dal sostegno di Podemos al Psoe, che succederà? “La prima cosa che faranno i nostri deputati sarà ridursi lo stipendio. E, a partire da questo, scommettere su politiche sociali e di difesa dei cittadini, fondamentali per avviare qualsiasi dialogo. Speriamo che tutti capiscano qual è il messaggio che hanno dato i cittadini, e si rendano conto che per intendersi con noi non si possono applicare le politiche di austerità che sono state realizzate sino ad ora. Le istituzioni servono per difendere la gente. Partendo da questi presupposti, siamo aperti a dialogare con chiunque”. E conclude così: “quelli che hanno applicato politiche fallimentari in questo Paese, dovranno fare un’inversione di rotta di 180 gradi per potersi intendere con noi. Mi pare che sia questo il messaggio che viene dai cittadini”.
La Stampa, pagina 4: “Il dilemma degli indignados. Trattare o no con la casta”, “Iglesias studia un accordo coi socialisti. Rajoy: ‘Popolari ancora primi’”. Il Pp ha infatti ottenuto il 27% (ma nel l2011 aveva il 37%). Il Psoe 25% (nel 2011 aveva sfiorato il 28%). Il quotidiano dedica attenzione ad Ada Colau, che a Barcellona era alla testa di una piattaforma di sigle della sinistra radicale (“Barcelona en Comù” che comprendeva Podemos), : “Ada, dalla lotta contro gli sfratti alla notorietà internazionale”; e a Manuela Carmena, che sta cercando un accordo con i socialisti e se tutto va bene sarà sindaco di Madrid (“Manuela, la giudice di sinistra trasformata a 71 anni in icona pop”).
Sul Sole si legge che in Spagna “si va verso l’alleanza a sinistra”. “Il movimento di protesta Podemos vince le elezioni amministrative e apre ai socialisti”. Si citano le dichiarazioni del leader Iglesias: Podemos “tende la mano aperta a tutto il mondo” ma si potrà fare un accordo solo con chi ha “tolleranza zero contro la corruzione”, con chi “vuole difendere i diritti sociali”, con chi “intende fare qualcosa per limitare la politica dei tagli”. Si legge che a Barcellona la vincente Ada Comau “diventerà con ogni probabilità la prima donna sindaco” in alleanza con “sinistra repubblicana, socialisti e forse Ciudadanos” e anche a Madrid la candidata di Podemos Manuela Carmena, che non è arrivata prima di un soffio rispetto alla popolare Esperanza Agurrie, sarà probabilmente sindaco con l’appoggio dei socialisti.
Sul Corriere: “Ada, da eroina mascherata contro le banche a prima sindaca di Barcellona”, dove si ricorda l’apparizione nel 2007, vestita con un abito di Zorro, di Ada Colau, intervenuta a un comizio di politici per urlare loro “siete il Male”.
Su Il Fatto: “’Yes, we can’ alla spagnola. Svolta a Madrid e Barcellona”, “Due donne saranno i futuri sindaci, grazie alle ‘confluenze’ di Podemos”. Ne scrive da Madrid Elena Marisol Brandolini, che firma anche un’analisi dal titolo: “Izquierda, la sfida è nelle alleanze”, “Oltre l’associazionismo: partiti e movimenti provano ad avere una strategia comune”.
E Virgina Dalla Sala racconta il personaggio di Iglesias, leader di Podemos: “Iglesias e il mito del nonno ucciso dao franchisti”, “dal G8 di Genova alla vittoria elettorale. Il sogno anti global di ‘El Coleta’ (codino)”.
Grecia
Il Sole offre un intervento di Yanis Varoufakis, ministro delle finanze della Grecia. Il ministro contesta le letture della situazione e dell’atteggiamento del suo governo che – dice – “è più che desideroso di attuare un’agenda che includa tutte le riforme economiche che i think tanks economici europei considerano centrali. E siamo perfettamente in grado di garantire il sostegno dell’opinione pubblica greca per un programma economico efficace”. Il ministro cita tra le riforme una “agenzia delle entrate indipendente”, uno stato di avanzo di bilancio primario “ragionevole”, un programma di privatizzazioni “sensato e ambizioso”, “una riforma autentica del sistema pensionistico che garantisca la sostenibilità a lungo termine del sistema di previdenza sociale”, una “liberalizzazione dei mercati dei beni e dei servizi”. E spiega dunque dove invece le trattative si arenano: “i creditori della Grecia insistono perché il nostro governo applichi ancora altre misure di austerità quest’anno e oltre: un approccio che impedirebbe la ripresa, soffocherebbe la crescita, aggraverebbe il ciclo debito-deflazione e finirebbe per erodere la disponibilità e la capacità dei greci di realizzare il programma di riforme di cui il nostro Paese ha così disperatamente bisogno. Il nostro governo non può accettare – e non accetterà – una cura che, nell’arco di cinque lunghi anni, si è già dimostrata peggiore della malattia”. Misure di questo tipo sono la “pretesa” che Atene “continui a perseguire un avanzo di bilancio primario insostenibilmente alto (più del 2 per cento del Pil nel 2016 e più del 2,5 o addirittura il 3 per cento, per tutti gli anni successivi)”, per fare il quale servirebbe un ulteriore aumento dell’Iva , oppure “tagliare a 360 gradi pensioni già decurtate e compensare i bassi introiti delle privatizzazioni (dovuti ai prezzi molto bassi delle attività) con misure ‘equivalenti’ di risanamento dei conti pubblici”. Insomma, dice il ministro, “il principale scoglio, l’unica condicio sine qua non, è l’insistenza dei creditori perché la Grecia applichi ancora altre misure di austerità, anche a spese dell’agenda di riforme che il nostro governo è più che desideroso di applicare”.
Sul Corriere Letizia Reichlin cita “Molto rumore per nulla” di Shakespeare per descrivere il “continuo flusso di notizie difficilmente interpretabili” sulla questione greca e scrive che dopo quattro mesi i negoziati “sembrano ora focalizzarsi esclusivamente su aspetti di bilancio, volti a un accordo dell’ultimo minuto che eviti il peggio ma che non garantisce alcuna sostenibilità di lungo periodo. Non c’è tempo, né volontà politica per cercare di costruire un percorso con un orizzonte non immediato, basato sulla coerenza tra un programma riformatore e la sostenibilità di bilancio. Si stanno ripetendo gli errori del passato. È probabile (ma assolutamente non certo) che, nonostante la confusione di messaggi, la Grecia pagherà il Fmi alla prossima scadenza – si tratta di pochi soldi – e che ci si ritrovi alla fine di giugno senza un incidente maggiore. A quel punto è probabile che si arrivi a un accordo per ottenere l’esborso della ultima tranche prevista dal secondo programma di aiuti o, ancora più probabile, che per arrivarci si prenderà ancora un po’ di tempo e si andrà a nuove elezioni. Ancora tempo perso per la ripresa, ancora incertezza e possibilità di incidenti di percorso”. Reichlin scrive anche che “se anche lo scenario più roseo si materializzazze”, non sarebbe comunque la fine della “saga greca”, perché il Paese avrà “bisogno di un terzo programma di aiuti su punti su cui teoricamente in Europa sono d’accordo tutti: “Per esempio, bisogna evitare che le riforme – necessarie – siano pro-cicliche, cioè limitino la capacità di spesa dei cittadini quando l’economia è in recessione”. L’Ocse, scrive Reichlin, sostiene ad esempio che è meglio cominciare da “riforme meno divisive”, come quelle del “mercato dei prodotti”, la riforma dello Stato, il sistema giudiziario e “comunque non dal lavoro. Inoltre, ormai sono molti a dire che non si può imporre un surplus primario irrealistico che finisca, come è avvenuto nel passato, per strozzare l’economia”. Il problema è che da una parte non si capisce se in Europa ci sia spazio politico e volontà di fare un accordo su qusto, e dall’altra “non è chiaro se la Grecia sia capace, pur condividendolo, di metterlo in pratica”. Dunque il rischio è che si continui con “negoziati infiniti su aspetti esclusivamente di bilancio e un susseguirsi di accordi dell’ultimo secondo per continuare a sopravvivere e non creare un incidente costoso per l’Unione”. Oppure che “la Grecia vada in default , fallisca ed esca dall’euro. Con quest’ultima opzione non è realistico pensare che ciò che l’Europa le ha prestato sia restituito nella sua interezza. Sperare in una restituzione del 50% è fin troppo ottimista. Ma se è cosi l’Italia, terzo Paese creditore di Atene, tornerebbe a essere a rischio e per l’Unione si riaprirebbe il problema di come far fronte alla sostenibilità del debito sovrano senza un intervento massiccio della Banca entrale europea”.
Sullo stesso quotidiano una conversazione di Aldo Cazzullo con Romano Prodi. Parla di “lunedì nero” in riferimento alla Grecia, alla Spagna dove “crollano i partiti”, al fatto che ” Francia e Inghilterra si sono chiamate fuori dall’accordo sugli immigrati. Ma la notizia peggiore è il voto polacco”, un “segno inquietante. La Polonia è il Paese che ha performato meglio in questi anni, che ha ricevuto più aiuti dall’Europa. È la sesta economia dell’Unione. Ne esprime il presidente, Donald Tusk. Ma l’uomo di Tusk ha perso. E ha vinto l’uomo di Kaczynski. Con una linea portatrice di tensioni, perché fortemente antieuropea. Antitedesca. E antirussa”. Sulla Spagna: “il governo popolare è obbediente alla linea tedesca; e il popolo gli si rivolta contro, a cominciare dalla grandi metropoli, che danno il tono al Paese. Ma sono davvero troppi in Europa i segnali di disgregazione; non da ultimo il referendum britannico, lo spettro dell’uscita di Londra. E se si leva un vento di disgregazione, non lo ferma nessuno”. Sulla Grecia: “Tanto tuonò che piovve. È ormai chiaro che la Grecia tanti soldi da pagare non li ha. Lo sapevano tutti. Il 25% dei greci è disoccupato, il reddito è crollato molto più di quanto si attendessero i fautori dell’austerity. La Grecia non ha lo sfogo dell’export che ha l’Italia, la Grecia esporta meno della provincia di Reggio Emilia; vive di noli marittimi, un po’ di cemento, un po’ di turismo; se crolla il reddito interno, crolla tutto. È stato un braccio di ferro in cui ognuno ha pensato che l’altro cedesse; invece per salvarsi ognuno dovrebbe cedere qualcosa. Se la Germania fosse intervenuta all’inizio della crisi, ce la saremmo cavata con 30-40 miliardi; oggi i costi sono dieci volte di più”. Secondo Prodi “si può ancora arrivare a un mezzo default, con la Grecia che ottiene l’allungamento dei termini e la ristrutturazione del debito, che non potrà essere rimborsato per intero, ma in cambio accede ad alcune richieste: neppure le promesse elettorali di Tsipras potranno essere mantenute per intero”.
Polonia
La Stampa, pagina 2: “Polonia euroscettica. Suona l’allarme a Bruxelles e Berlino”, “Il neopresidente sfida la linea del rigore e potrebbe cercare un’intesa con Putin”. Scrive Anna Zarfesova che la vittoria di Andrzej Duda, l’outsider di 43 anni che ha strappato la presidenza polacca a quello che ormai sembrava un monopolio di Bronislaw Komorovski e della coalizione governativa “Piattaforma civica”, con la sua vittoria (anche se solo con tre punti di scarto, ovvero 51% contro 48,5%) rappresenta il trionfo 2di un conservatore euroscettico e populista” e può aprire la strada alla vittoria del suo partito “Diritto e libertà” alle politiche di ottobre. La Borsa e lo zloty hanno reagito negativamente, temendo per le sorti del “miracolo polacco”: il successo economico, scrive Zafesova, non sempre paga in politica e la Polonia ha respinto nelle urne quello che è considerato un modello di sviluppo, con venti anni di crescita ininterrotta anche durante la crisi. Modello che ha portato la Polonia ad essere la sesta economia dell’Ue e una delle voci più influenti a Bruxelles. Ma la modernizzazione ha spaccato il Paese a metà: a votare per Duda è stata la “Polska 2”, la Polonia “di seconda classe”, l’Est povero e rurale, gli anziani (il presidente ha promesso di riportare in basso l’età pensionabile) e i giovani che nono trovano lavoro e faticano a metter su casa. Cattolico conservatore che viene dalla Cracovia di Papa Woityla, Duda -primo leader che non appartiene alla generazione di Solidarnosc- è andato a Jasna Gora di Czestochowa dove , davanti all’immagine della Madonna nera, l’icona più venerata di Polonia, ha pregato per ringraziare dell’elezione. Ha trovato il dinamismo per catturare due terzi del voto giovanile, denunciando il disagio sociale che ha costretto due milioni di polacchi ad emigrare dopo l’ingresso nell’Ue nel 2004. Duda rivendica maggior autonomia a Bruxelles e Berlino, promette la “polonizzazione” di banche e reti commerciali e un aumento di tasse che può scoraggiare gli investitori internazionali. I suo modello dichiarato è l’Ungheria di Viktor Orban.
La Repubblica riproduce l’analisi di Adam Michnik su Gazeta Wyborcza: Il modello di un Paese in crescita, tollerante e pluralista, è stato messo in discussione da questo voto -scrive Michnik-. Molti temono un cambiamento in peggio: il nuovo Presidente difenda i valori della Costituzione”. E questo temuto cambiamento in peggio, scrive Michnik, “accadrà in una situazione internazionale complessa, in un contesto caratterizzato dalla politica aggressiva di Vladimir Puitn. Le vittime quotidiane nell’est dell’Ucraina sono un avvertimento temibile per la Polonia”. E poi: “le elezioni hanno evidenziato l’esistenza di una spaccatura profonda in seno alla società polacca. Bronislaw Komorowski è stato votato da qusi la metà degli elettori. Il nuovo presidente dovrebbe superare questa divisione e rispettare anche le aspirazioni della minoranza che conta milioni di persone. Le elezioni hanno fatto emergere anche la ribellione dei giovani: i voti dati ad un musicista rock sono il segnale della contestazione e dell’imminente cambiamento generazionale” (il cantante rock Pawel Kukiz ha ottenuto al primo turno il 20,8%, ndr).
Sul Sole 24 Ore Adriana Cerretelli scrive tra l’altro che “la stra-europeista Polonia, beneficiaria a man bassa degli aiuti strutturali Ue, il Paese con il più alto tasso di crescita economica dell’Unione, ha a sua volta eletto il nuovo presidente della Repubblica scegliendo non il candidato del partito di governo ma quello di Legge e Giustizia, la formazione della destra nazionalista ed euroscettica che tra l’altro rivendica il rimpatrio di molti poteri ceduti a Bruxelles, proprio come i conservatori di David Cameron a Londra, e che potrebbe ritornare al governo con le elezioni di ottobre”
Renzi, Europa, euroscetticismi
La Stampa: “Perché in Italia non c’è un Podemos”, “Da Renzi a Salvini, da Passera a Vendola tutti s’intestano la vittoria del ‘movimento anti-austerità’ spagnolo. Ma il nostro Paese, dice Cacciari, è ancorato a vecchie categorie. Qualcuno incarna lo spirito degli indignati?”. Cacciari sottolinea che “dentro Podemos c’è di tutto: componenti di sinistra-sinistra come in Syriza, movimentiste come nel Movimento 5 Stelle, perfino altre assimilate da Renzi”. E Paolo Becchi, studioso simpatizzante grillino dice che da un lato Renzi ha “rubato2 al M5S, 2anche se in chiave propagandistica, alcuni temi come la critica della partitocrazia e la lotta alla corruzione” e dall’altro Grillo “si è isolato, evitando di saldarsi con altri movimenti sociali”.
Il Fatto: “L’illusione a sinistra, ‘pure noi Podevamos’”, “con la vittoria dell’alleanza sociale spagnola riprendono quota gli esperimenti italiani, ma restano litigi e divisioni. Intanto nel M5S Casaleggio chiede di non commentare il voto”. E sulla “galassia”: “il 6 e 7 giugno Landini inaugura la sua Coalizioni. Civati cerca un gruppo, Fassina strizza l’occhio alla Cgil. E anche Zingaretti si prepara”.
Su La Repubblica, Stefano Folli, in un commento che compare in prima (“Per chi suona la campana di Madrid alle Regionali”), scrive che “non esiste un Podemos italiano, ma Renzi dovrà fronteggiare una vasta area anti-sistema”.
Sul Corriere: “Il voto spagnolo agita tutta l’Ue. Strada in salita per l’austero Rajoy”. “La crescita di Podemos, l’affanno dei Popolari: governi difficili in molte regioni. In autunno le Politiche”. Dove si legge che se a novembre gli spagnoli ripetessero il voto di domenica “ne uscirebbe un Parlamento impossibile”, con Ppe e Pse che avrebbero un centinaio di seggi ciascuno, Podemos ne avrebbe 40, Ciudadanos 10, nazionalisti baschi e catalani una trentina in tutto.
Su Il Giornale si dà conto delle parole di ieri di Renzi: “Matteo costretto a cavalcare l’onda spagnola”, visto che ha detto che quel voto è un “vento che dice che l’Europa deve cambiare”.
Il Corriere, con il “retroscena” di Maria Teresa Meli: “‘Le elezioni in Spagna hanno dimostrato semplicemente quello che io vado dicendo da tempo: in Europa ci vuole meno burocrazia e più politica’. Matteo Renzi non è sorpreso per il voto nella Penisola iberica. E nemmeno per quello in Polonia”. “Quello che conta, da ieri, ossia dalla vittoria in Spagna di Podemos, è il ruolo che Renzi si sta ritagliando in Europa”. Renzi vorrebbe arriare a “un patto con Angela Merkel” su un documento dal titolo “L’Europa dal basso”.
La Repubblica, pagina 4: “Renzi: ‘Adesso l’Europa deve cambiare’”.
La Stampa, pagina 2: “’Meno austerity, più umanità’. Ora l’Europa deve cambiare’”, “La ricetta del premier Renzi su come riformare l’Ue: più unione politica e coinvolgimento dei cittadini, gli eurobond e un unico sussidio ai disoccupati”.
Su La Repubblica, poi due intere pagine dedicato allo “scenario” europeo dopo le elezioni in vari Paesi europei e una mappa di “populisti” che va dal Regno Unito ai Paesi Bassi, dalla Francia al Belgio: “L’onda di populisti e indignati si abbatte sull’Europa in crisi. Ma il sogno dell’integrazione era già andato in pezzi”, scrive Lucio Caracciolo, che parla di “un condominio senza amministratore né progetto di convivenza dove prevalgono i rapporti di forza”.
Su La Repubblica, pagina 6: “Cameron prepara il referendum, ma su Brexit non chiederà il voto a immigrati e inglesi espatriati”. Scrive il quotidiano che il primo ministro presenterà questa settimana in Parlamento, in occasione del “Queen’s speech” (il discorso con cui la regina annuncia il programma del governo) la legge sulla consultazione popolare che ha promesso di indire entro il 2017. Forse verrà rivelata in questa occasione la formula esatta del quesito da porre agli elettori. Di sicuro chiarirà quali elettori saranno chiamati ad esprimersi: fonti di Downing Street indicano che i cittadini europei residenti nel Regno Unito non potranno votare al referendum: significa che non potranno parteciparvi 1 milione e mezzo circa di immigrati da Paesi della Ue che di norma possono votare in Gran Bretagna alle europee e alle amministrative. Una rinuncia automatica -commenta il corrispondente Enrico Franceschini- a un’ampia fetta potenziale di sostenitori dell’Europa, poiché è logico che un immigrato non vorrebbe perdere il diritto di risiedere e lavorare nel regno Unito e quindi voterebbe a favore dell’Ue. Ma se votassero, Cameron sarebbe accusato dall’ala più euroscettica del partito conservatore di consegnare il destino della Gran Bretagna a immigrati stranieri. Secondo indiscrezioni Cameron vieterà il voto anche a un’altra fetta di elettorato: quasi 1 milione di cittadini britannici risiede in Paesi dell’Ue da oltre 15 anni (attualmente la legge consente di votare solo a chi è all’estero da meno di 15 anni): loro si ritroverebbero stranieri senza permesso di residenza se Londra uscisse dall’Ue.
Su La Stampa, in prima, un’analisi di Marta Dassù: “Se l’Ue diventa un’appendice”. Dove si passano in rassegna i casi Polonia (Paese dove l’economia va bene) o Spagna (dove il Partito popolare ha perso oltre 10 punti): “i movimenti ‘anti-establishment’ sul piano nazionale sono anche movimenti anti-europei o euroscettici. La crisi delle democrazie nazionali è anche la crisi dell’Unione europea”, sottolinea Dassù. Ci troveremo “in una condizione di appendice vulnerabile dello spazio euro/asiatico” scrive Dassù citando Heny Kissinger, “se le forze che credono nell’Unione europea come bene o almeno come male necessario non avranno il coraggio di affrontare seriamente la sfida del consenso democratico”.
Regionali
“Dal caso De Luca ai fischi. Ora Renzi teme la figuraccia” si legge su Il Giornale, chescrive che anche “per strategia comunicativa” il premier punta a ridimensionare le attese sul voto regionale, perché “meno ci si attende, più un eventuale successo farà clamore”. Il quotidiano dà conto del comizio di Renzi ieri in Liguria e ricorda che “in Campania i toni del testa a testa tra l’uscente Caldoro e lo sfidante Pd De Luca si infiammano e si prefigura una guerra di carte bollate. Sul capo di De Luca pende la spada di Damocle della legge Severino, in seguito alla condanna in primo grado per abuso d’ufficio. Per oggi è atteso un primo verdetto, quello della Cassazione che deve stabilire di chi sia la competenza in caso di eventuali ricorsi: del tribunale ordinario o dell’onnipresente Tar? Già questo fa capire quanto sia bizantina la faccenda. De Luca sostiene che farà ricorso appena eletto e nel frattempo governerà il vice da lui nominato dopo il voto. Ma c’è chi sostiene che in caso di vittoria il candidato Pd non possa neppure essere proclamato dalla Corte d’appello. E c’è il rischio serio che a governare, nei prossimi mesi, rimanga comunque Caldoro”.
Immigrati
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini si sofferma sul tema della immigrazione e delle politiche europee e scrive che “la distribuzione di migranti in Europa riguarderà i nuovi arrivi. Nessuno fra gli stranieri già presenti in Italia potrà essere trasferito in un altro Stato”. Dunqu la riunione prevista domani della Commissione Ue “gela le aspettative di chi, nel nostro Paese, pensava che la partita potesse considerarsi chiusa. L’opposizione di Francia e Spagna – oltre a Ungheria e numerosi altri membri – evidentemente pesa sulle scelte del presidente Jean-Claude Juncker e porta a rivedere anche alcuni punti che sembravano decisi”. Si parla di 24 mila migranti che dall’Italia potranno essere trasferiti altrove, ma in due anni, e soltanto per chi arriverà in Italia dopo il prossimo luglio. “L’Italia dovrà continuare a farsi carico dei circa 90 mila migranti già arrivati a sistemati nei centri di accoglienza e nelle strutture private messe a disposizione grazie al lavoro delle prefetture”. Inoltre potrebbe esserci anche qualche limitazione “sulla nazionalità di chi potrà lasciare il nostro Paese. La regola fissata dalla Commissione prevede infatti che possano essere ‘ricollocati’ soltanto ‘i richiedenti asilo che godono del regime di protezione nel 75 per cento degli Stati membri’. Una caratteristica che hanno gli eritrei e i siriani”.
Spending review
Sulla prima pagina del Corriere un articolo di Sergio Rizzo dedicato ai dati contenuti nel libro dell’ex commissario alla spending review Cottarelli. Il libro si chiama “La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare”, ed è – scrive Ruzzo – “come fare un viaggio nel ventre della ‘Bestia’ che succhia le nostre risorse più preziose, ma condotti da una guida esperta che ne ha già esplorato le viscere”. Uno dei dati: “Sapete quante erano alla fine del 2012 le sole sedi territoriali dei ministeri? Circa 5.700. Numero al quale si devono però aggiungere 3.900 uffici di enti vigilati dai ministeri. Per un totale di 9.600. Senza però che in quelle quasi 10 mila sedi del solo Stato centrale, per capirci una ogni 6.250 italiani, siano comprese le migliaia di caserme della polizia e dei carabinieri”.
E poi
Da segnalare un articolo di Dario di Vico, in prima pagina: “La fabbrica di Suv e la svolta di Fiom”, dove si parla anche dell’accordo sindacale siglato in Lamborghini con la partecipazione del sindacato di Landini.
Alle pagine dell’economia il quotidiano racconta che domani a Palazzo Chigi l’Ad di Audi, insieme a Renzi e alla Guidi, annunceranno che il Suv Urus della Lamborghini (che appartiene ad Audi-Volkswagen) sarà prodotto in Italia. Sabato scorso sindacati e azienda avevano annunciato il raggiungimento di un accordo che prevede l’applicazione del “modello Volkswagen” in Lamborghini. Un patto “applaudito anche dalla Fiom” che ha anzi “rivendicato una parte del merito nella conclusione della vicenda”.