Corriere della Sera: “Strage di migranti, l’Italia è in lutto”, “Barcone dalla Libia in fiamme davanti a Lampedusa: più di 300 vittime tra morti e dispersi. Il Papa: vergogna. Elogio di Napolitano ai soccorritori. E Alfano chiede l’intervento della Ue”.
A centro pagina, il racconto dei pescatori: “’Ci scivolavano dalle mani’”, “’Erano coperti di gasolio, stremati e incapaci di muoversi’”, “Nelle tasche dei naufraghi le foto delle famiglie”.
In taglio basso: “Esplosivo a un cronista, la pista No Tav”.
La Repubblica: “La strage della vergogna”, “Va a fuoco il barcone, centinaia di migranti morti a Lampedusa. Lutto nazionale”.
In taglio basso: “Berlusconi ad Alfano: stanco di guerra, decidi tu”.
La Stampa: “L’ecatombe di Lampedusa”, “Barcone s’incendia davanti all’isola: oltre 100 vittime e 200 dispersi, tra loro bimbi e donne incinte. Polemiche sui soccorsi. Alfano chiama Barroso: la Ue apra gli occhi. Napolitano: leggi da rivedere”.
A centro pagina: “Berlusconi: non vado in Giunta”, “Oggi il voto sulla decadenza del Cavaliere. Pdl, congelato il nuovo gruppo”.
E, ancora a centro pagina: “Pacco bomba a La Stampa”, “Disinnescato, era indirizzato al cronista che scrive di No Tav”. E le parole del sindaco di Torino: “Fassino: basta ambiguità’”.
Il Sole 24 Ore: “’Manovrina’ subito, poi l’Imu”, “Moody’s accende un faro sui conti italiani: a rischio la ripresa”. Di spalla: “Ecatombe a Lampedusa: si rovescia un barcone, morti centinaia di immigrati”.
In aglio basso: “Redditometro, meno controlli”, “Non si faranno tutti i 35mila accertamenti previsti nel 2013”, “Befera: il fisco deve essere amico della nautica, rimborseremo tasse non dovute ai proprietari”.
Il Giornale: “Trecento morti di buonismo”, “A Lampedusa naufraga un barcone con centinaia di profughi africani. La sinistra attacca la Bossi-Fini, ma con le belle parole non si salvano le vite”.
Libero: “Cosa deve fare Alfano”, “Angelino ha vinto ma ora non ascolti le sirene che vogliono farlo rompere col Cav. La sua missione è di riunificare le anime del centrodestra in un grande movimento liberale”. Sotto la testata c’è la foto dei soccorsi a Lampedusa ieri e il titolo: “Le iene di sinistra si buttano sull’orrore di Lampedusa”.
Il Fatto: “Mare di morti ma nessuno muove un dito”.
In taglio basso: “Decadenza, nuove mosse per salvare Berlusconi”, “Oggi la Giunta”.
L’Unità, con la foto di un mare agitato: “La nostra vergogna”, “Lampedusa, 3 ottobre 2013. Oltre duecento morti”.
Lampedusa
“Tripoli ignora l’intesa”: così su Il Sole 24 Ore Roberto Bongiorni spiega “dove inizia il viaggio”. Parte da luoghi in cui la guerra è una relatà quotidiana: la maggior parte di profughi sbarcati ieri a Lampedusa proveniva da Eritrea e Somalia, due ex colonie del martoriato Corno d’Africa. La Somalia negli ultimi venti anni si è guadagnato la nomea di “Stato fallito”. Da quando il dittatore Siad Barre è stato rovesciato, nel 1991, il Paese ha vissuto una sorta di guerriglia permanente: prima i brutali signori della guerra, poi, nel 2006, è stata la volta delle Corti islamiche, a loro volta spazzate via con una guerra-lampo dall’esercito etiope. Subito dopo è scoppiata la brutale guerra portata avanti dagli estremisti islamici al-Shabab, affiliati ad Al Qaeda, contro le istituzioni somale riconosciute dalla comunità internazionale. E le ricorrenti carestie hanno peggiorato la situazione. E’ difficile trovare un Paese con un così alto numero di sfollati interni: sarebbero oltre un milione. Ora, grazie anche al contributo del Kenya, a sua volta sceso in guerra contro gli Shabab nel Sud del Paese, parte della Somalia si sta rimettendo in piedi. Per quel che riguarda l’Eritrea, l’ultima guerra , quella con l’Etiopia, risale a 13 anni fa. Ma le condizioni di vita sono dure, non solo a causa di povertà e carestie, visto che Human Right Watch denuncia che “tortura, detenzioni arbitrarie, severe restrizioni alla libertà di espressione, di associazione e religione, restano una routine in Eritrea. Da quando il Paese è diventato indipendente, nel 1993, non sono mai state organizzate elezioni. La Costituzione non è mai entrata in vigore, i partiti politici non sono mai stati autorizzati”. E sulla stessa pagina de Il Sole 24 Ore Marco Ludovico racconta come l’accordo con la Libia dei tempi di Gheddafi sia “carta straccia”: i trafficanti si organizzano, le “katibe”, formazioni paramilitari di struttura tribale, intervengono nell’organizzazione dei traffici. I migranti arrivano in massa dai Paesi sub-sahariani -Eritrea, Somalia, Etiopia- ma anche da Siria, Irak, Afghanistan, Senegal, Nigeria, Tunisia, Egitto. Un paio di giorni fa 11mila siriani sono giunti in Bulgaria e certo non resteranno lì
Su La Stampa Guido Ruotolo spiega che c’è un grande campo dell’UNHCR, l’organizzazione Onu che si occupa di rifugiati, in Kenya, a Daadaab: mezzo milione di profughi: è da qui che comincia l’odissea di migliaia di disperati. Qui si presentano “i negrieri, i mafiosi etnici che assicurano per soli 2000 dollari un viaggio verso la vita, il futuro, il lavoro”. Il mafioso impacchetta la sua “merce” in grossi camion o in pick-up che puntano la rotta su Khartoum, in Sudan, dove i referenti dell’organizzazione sono pronti ad accogliere i disperati. Poi il passaggio successivo è l’oasi di Kufra, in Libia. Dalle prime informazioni raccolte dagli investigatori il barcone della morte arrivato ieri a Lampedusa potrebbe essere salpato dalla città libica di Zriten, perché a poche decine di chilometri, a Misurata, c’è un campo profughi per eritrei. Nella Libia che ha tradito le speranze della primavera araba “le milizie hanno sostituito i funzionari di polizia corrotti, e oggi il territorio è mal controllato dalle forze di polizia, che con apparati inefficienti e pochi mezzi non sono in grado di fronteggiare l’emergenza immigrati. In questo deserto di controlli hanno ritrovato forza le vecchie organizzazioni criminali scompaginate dalla ‘rivoluzione’ che fece fuori il regime di Gheddafi e con esso i vecchi referenti istituzionali corrotti”.
Sul Corriere della Sera Giuseppe Sarcina scrive che la scia dei morti di Lampedusa conduce fino al porto libico di Zuwarah, 102 chilometri a ovest di Tripoli. In questi giorrni, nel retroterra desertico, stipati nei centri di detenzione, ci sono almeno 10-12 mila volti spaventati in attesa. Arrivati dalla Somalia, dall’Eritrea, dal Ciad, dal Niger. Secondo le stime degli osservatori internazionali poi altri 10 mila migranti sono imprigionati nei campi clandestini, sistematicamente malmenati se non torturati. Ora tutta questa fascia di terra che arriva fino ala dogana tunisina di Ras Jedir risponde agli ordini di 5 o 10 mila uomini armati: spezzoni di tribù berbere, milizie che hanno combattuto Gheddafi e, soprattutto, bande di criminali ‘professionisti’, magari ex contrabbandieri di benzina, oggi convertiti a traffici più redditizi. Droga, esseri umani. Si calcola che il giro di affari tocchi 3 o 4 miliardi di dollari all’anno, poco meno del 10 per cento della ricchezza libica (56 miliardi) ancora galleggiante sul petrolio”.
I clan di Zuwarah imbarcano migranti disperati, chiedono loro 1500-2000 euro. Ma per quei disperati è una enormità, e allora via nei centri di detenzione, quelli legali o quelli improvvisati, in attesa che dal Paese di origine qualcuno, un parente, un amico mandi i soldi. Se sono suffficienti si tenta la traversata fino a Lampedusa con un peschereccio malandato, altrimenti c’è il gommone con un motore di 40 cavalli che si ferma regolarmente dopo 30 o 40 miglia di navigazione. Ai profughi viene consegnato un telefono satellitare e un ordine: ‘chiama quando sarete in panne, gli italiani verranno a prenderti’”.
Anche su Il Giornale: “La guerra in Libia ha fatto il gioco degli scafisti”, scrive Fausto Biloslavo parlando degli “effetti collaterali delle primavere arabe”. Ora, spiega, arrivano più siriani che afghani, e gli ex ribelli fanno affari con i trafficanti, sono beduini che godono della protezione delle cellule di Al Qaeda e dei gruppi dell’estremismo islamico, che dalla Primavera araba in Egitto sono sempre più decisi a trasformare il Sinai in un califfato. La zona di partenza per la Sicilia è quella di Alessandria.
La Repubblica scrive che per ben tre volte il Presidente della Repubblica è intervenuto ieri a commentare la tragedia di Lampedusa, aggiungendo le proprie parole di vergogna a quelle di Papa Francesco. Ma ha anche detto, scrive La Repubblica: “Non può bastare l’impegno italiano, ci vuole almeno un impegno europeo. Credo che una verifica che vada fatta è quella di vedere quali norme ci sono che fanno ostacolo a una politica di accoglienza degna di questo Paese”.
Su L’Unità il direttore Claudio Sardo invita ad abolire il reato di clandestinità introdotto dalla legge Bossi Fini: “Non basta scaricare le responsabilità, che pure ci sono, solo sugli altri”, “l’immigrazione è un fenomeno epocale, planetario, affrontarlo con serietà, solidarietà, rigore, cioè fare in modo che diventi fattore di sviluppo, non di discriminazione e di morte, è il risultato di politiche difficili, serie, complesse”.
Sullo stesso quotidiano Luigi Manconi e Valentina Brinis ricordano che tra le cause della tragedia ve n’è certo una che rimanda ai dispositivi della legge Bossi-Fini del 2002. Su quei dispositivi “è possibile finalmente intervenire. Ci hanno provato i radicali ma, per responsabilità di quasi tutti, quel sacrosanto referendum non ha raggiunto il numero di firme necessario”.
Si ricorda poi quanto, oltre ad abrogare il reato di clandestinità, sarebbe necessario introdurre il visto di ingresso per ricerca di occupazione, al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel nostro Paese, per regolarizzare una quantità notevole degli ingressi e dei soggiorni non regolari. La Stampa intervista l’incaricato speciale della Commissione Diritti Umani dell’Onu Crepeau, che dice: “L’immigrazione irregolare non è sempre esistita. Durante gli anni 40, 50, anche 60, migliaia di persone sono venute in Europa dall’Africa e dalla Turchia senza questi drammi. Non avevano i documenti, ma poi cominciavano a lavorare e venivano regolarizzati”. Sarebbe necessario, per Crepeau, discutere francamente della domanda di lavoro che esiste nei Paesi del nord globale e in tutte le economie in rapida espansione: questi Stati hanno bisogno di manodopera poco specializzata, ma non vogliono riconoscerlo perché significherebbe riconoscere i diritti degli immigrati: “Quanto siamo disposti a pagare le fragole o gli asparagi? Poco, e quindi dobbiamo pagare poco chi li produce”. Bisognerebbe quindi creare “nuovi canali legali di immigrazione, controllati dagli Stati e quindi più sicuri”. Dice ancora Crepeau che gli Stati dovrebbero riflettere sulle loro responsabilità: l’immigrazione illegale viola le leggi, ma non è un reato contro le persone. Il 99,9 per cento dei migranti non rappresenta una minaccia”.
Su La Repubblica il commissario Ue per l’integrazione Malstroem promette che “l’Europa farà di più, ma l’Italia ha già avuto i fondi che servono”. La commissione europea, spiega, ha sviluppato “un nuovo strumento, Eurosur, che diventerà operativo a dicembre, per migliorare il coordinamento tra le autorità nazionali che potranno così individuare con più precisione e rapidità le piccole imbarcazioni in difficoltà e intervenire per soccorrerle. Dobbiamo definire politiche di maggiore apertura verso i richiedenti asilo, e di chi può aver bisogno della protezione internazionale”. Secondo la Commissaria gli Stati membri possono fare “molto di più” per la ricollocazione dei rifugiati. “Non possiamo lottare contro l’immigrazione illegale ognuno per conto proprio. Il rispetto dei diritti umani, del diritto di asilo e del principio di non respingimento in mare sono le condizioni di base per una politica europea della immigrazione”. La Malmostroem ricorda anche, per quel che riguarda l’agenzia Frontex, che controlla le frontier,e che l’Italia è tra i principali beneficiari europei dei fondi destinati a questo scopo: 232 milioni nel periodo 2010-2012 e 137 milioni solo per il 2013”.
Di fianco, sullo stesso quotidiano, intervista al Ministro dell’integrazione Kyenge: “Su quel barcone avrei potuto esserci io, e adesso cancelliamo la Bossi Fini”. Risponde anche alle accuse lanciate da alcuni deputati leghisti: “Imputare la responsabilità morale a me e alla Presidente della Camera è offensivo innanzitutto verso le vittime”.
Su Il Giornale Vittorio Feltri scrive che “cambiare una legge non cambia l’orrore”: “La migrazione dei popoli è un fenomeno antico come il mondo. Va governato. Stroncarlo è impossibile. Lo insegna la storia. Ignorando la quale si diventa velleitari. Chi accusa la ministra Kyenge di essere responsabile di questa e di altre sciagure lo fa in ossequio a direttive politiche insensate, improntate a velleitarismo e cinismo. Piuttosto bisogna invocare l’intervento del governo, tocca mobilitare l’Europa affinché predisponga un sistema di accoglienza (o di respingimento nei luoghi di imbarco e non di sbarco) tale da garantire all’Italia un soccorso e una collaborazione, evitandole l’onore di provvedere con le sue forze insufficienti alla sistemazione degli extracomunitari in arrivo”.
Su Libero, il commento di Maria Giovanna Maglie: “Europa infame, il governo batte i pugni”, “ci ha lasciato soli a fronteggiare una emergenza che è di tutti, ora l’esecutivo dimostri di essere degno”. Magdi Cristiano Allam su Il Giornale: “I buonisti facciano mea culpa. Vanno aiutati, ma a casa loro”.
Il Corriere intervista il Presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz: “Bisogna far sì che l’onere, il peso delle frontiere europee, sia un problema condiviso da tutti i nostri governi”, “nessun può lasciar soli gli stati che sono sottoposti alla pressione maggiore: Italia, Spagna, Malta e così via. Dopotutto, i rifugiati siriani sono un problema, anche per Libano, Giordania e Turchia, che sono Paesi più poveri dei nostri”.
Sullo stesso quotidiano, un focus sulle leggi: “Asilo, la ‘regola’ europea che penalizza l’Italia”. Dove si spiega che il regolamento di Dublino del 2003 prevede che la competenza a valutare la richiesta di asilo spetta al primo Stato in cui il migrante ha messo piede. Ed è il motivo per cui molti migranti da noi tentano di sfuggire al foto segnalamento e al data-base Eurodac: non vogliono presentare domanda qui, perché sperano di andare più a nord, verso Paesi come la Svezia, che hanno sistemi di accoglienza e soprattutto di integrazione dei profughi più generosi. Anche l’Unhcr sottolinea come in Italia manchi un “sistema strutturato e funzionale per la protezione, assistenza ed integrazione, e che riduca le difficoltà operative per le amministrazioni locali, il volontariato, le forze di polizia e tutti gli operatori del settore”, come spiega la professoressa Marina Calloni, dell’università Bicocca di Milano, “è tutto gestito nell’emergenza”, e quindi si finisce per scaricare il problema sui territori.
Marek Halter su La Repubblica scrive “che cosa si prova a essere un profugo”, ricordando la sua fuga – a 7 anni – dal ghetto di Varsavia, verso Mosca e poi l’Uzbekistan, “mai i benvenuti”, perché “ogni volta che arrivavamo in un villaggio venivamo arrestati da una pattuglia dell’Armata Rossa e i soldati ci urlavano ‘tornatevene da dove venite’”.
Politica
Oggi si terrà la riunione della Giunta per le elezioni del Senato, che dovrà votare sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere non ci sarà, scrive il Corriere. Sullo stesso quotidiano si scrive che il Cavaliere sta trattando, e che ci sarebbe stato un alt alla costituzione di gruppi autonomi. Ieri c’è stato un faccia a faccia di due ore tra Alfano e il Cav, ma il quotidiano parla di una “contromossa dei falchi”, poiché hanno raccolto le firme su un documento a sostegno del Cavaliere e contro Alfano. Si tratta della componente che fa capo a Sandro Bondi, Daniela Santanchè e Denis Verdini, che pare abbiano già raccolto un centinaio di firme. Ma le condizioni della “ala governativa” in questa partita prevedono il riconoscimento di Alfano leader e il sostegno chiaro all’esecutivo. Uomo forte della operazione “lealista” di sostegno a Berlusconi sarebbe, secondo il Corriere, l’ex ministro Raffaele Fitto. L’area dei falchi chiede tra l’altro un congresso e regole democratiche, e pare abbiano detto brutalmente ieri a Berlusconi che non tollereranno alcuna operazione volta a farli fuori.
La Repubblica, ricostruendo il faccia a faccia di ieri tra Alfano e Berlusconi, riassume così l’orientamento del Cavaliere: “Angelino, il partito deve restare unito, e poi lo sai, sei il segretario, sei destinato a guidarlo tu”. Alfano, per parte sua, avrebbe assicurato a Berlusconi che la componente governativa del Pdl non ha alcuna intenzione di dar vita a gruppi autonomi “se non ce ne saranno motivi”. Alfano avrebbe anche detto: “Io ti suggerirei di dimetterti, di lasciare il Senato prima del voto di Giunta”. La notizia che il testimone di Forza Italia passerebbe anche ad Alfano getta nel panico a quel punto i “veramente berlusconiani”. Raccolgono le firme sul documento di cui parlavamo sopra, e discutono di un ipotetico segretario da contrapporre o da affiancare ad Alfano. Si parla di Raffaele Fitto. Invocano un rimpasto di governo, dato che al momento non esprimono più ministri, e chiedono al capo di non lasciare il testimone al vicepremier. E Berlusconi li avrebbe rassicurati, “ma non fino in fondo”, confermando allo stesso tempo che non si dimetterà da senatore.
Su Libero: “Il Pdl non si spacca. Angelino e Silvio trattano sul futuro”. Il direttore Belpietro riconosce che Alfano è stato il vero vincitore della complessa partita che ha evitato la crisi di governo e lo invita a riunire il centrodestra: “La sinistra che lo ha deriso per anni trattandolo da cameriere adesso lo celebra come anti-Cav. Angelino eviti rotture e diventi il capo di un grande movimento liberale”.
Per Il Giornale ci sarebbe anche lo “zampone della Merkel dietro le telefonate per dividere in due il Pdl”. Ci si riferisce ad una chiacchierata con Letta, ma anche al mistero che aleggia su una telefonata che ci sarebbe stata con Alfano.
Su La Stampa le previsioni di alcuni sondaggisti: il partito di Alfano varrebbe il 10 per cento. Così la pensa, ad esempio, Ipr marketing: un aprtito, che si chiami “Italia popolare” o “I popolari”, come ipotizzato nei giorni scorsi, arriverebbe al 10 per cento, mentre Forza Italia varrebbe un 17 per cento. “Ma anche in questo 17 per cento -dice Antonio Noto, di Ipr marketing- non tutti sono convinti di seguire il Cavaliere, quindi il suo peso potrebbe ridursi”. Secondo Noto uan nuova aggregazione di centro, invece, varrebbe il 20 per cento. Renato Manheimer, Ispo, dice che nell’ultima settimana il Pdl ha perduto almeno quattro punti percentuali, perché l’elettorato di Berlusconi è disorientato. Secondo Maurizio Pessato, della Swg, “tra gli elettori del Pdl è nettamente prevalente la linea di Alfano: circa due terzi di chi ha votato quel partito ha appoggiato l’operazione stabilità”. Tutti pronti a seguirlo, dunque? “Ancora presto per dirlo, perché nessuno rinnega il ‘brand’ Berlusconi, che resta il loro riferimento nonostante la grande confusione che si è venuta a creare”. Nicola Piepoli pensa che negli ultimi giorni Alfano si è rivelato una sorpresa per tutti: si è rivelato come l’allievo ideale di Berlusconi in quanto a creatività. E al suo fianco c’è Maurizio Lupi, “un altro politico che gode di ampio consenso, specialmente tra l’elettorato cattolico che è pronto a seguirlo”.