Corriere della Sera: “La vittoria storica di Angela Merkel”, “Supera il 41% e sfiora la maggioranza assoluta. Possibile accordo con la Spd”.
A centro pagina, con foto dal Pakistan: “Strage di cristiani dopo la messa”. E le notizie dal Kenya: “Kenya, ansia senza fine. Blitz delle forze speciali contro i terroristi”.
La Repubblica: “Germania, Merkel vittoria storica”, “Cdu-Csu al 42% a un passo dalla maggioranza assoluta. Spd al 25,5%”.
A centro pagina: “Patto di governo per bloccare l’aumento Iva”, “Intervento del premier per blindare Saccomanni: ‘Piena sintonia, basta ultimatum’. Il ministro: ‘Faccio il mio dovere’. Dure critiche dal Pdl”.
La Stampa: “Germania, Merkel stravince”, “Vicina alla maggioranza assoluta. Fuori i liberali, gli anti-euro sfiorano il quorum”.
In Taglio basso: “Letta: basta interessi personali”, “Il premier difende Saccomanni dopo lo sfogo: la verità sui conti, finito il tempo degli slogan”.
Di spalla, sul Kenya: “Scatta il blitz dopo la strage al centro commerciale”. E dal Pakistan: “Kamikaze al termine della messa. Oltre 70 i morti”.
Sotto la testata, il processo a Bo Xilai: “Cina, ergastolo al ‘principe rosso’”.
Il Giornale: “Letta al capolinea”, “Sull’Iva il ministro Saccomanni minaccia le dimissioni, ma Forza Italia non ha intenzione di cedere”, “Fine Merkel mai: Angela trionfa e si conferma cancelliera”.
A centro pagina, con foto: “L’islam fa a pezzi i cristiani”, “Prima il Kenya, poi la strage in chiesa in Pakistan. E l’Occidente tace”. Si tratta di un’analisi di Madgi Cristiano Allam.
L’Unità: “Merkel trionfa ma è sola”, “Cdu oltre il 42%. Liberali e antieuro restano fuori. Spd al 26%. Vicina la Grande coalizione”.
A centro pagina, la foto del Papa a Cagliari: “Il Papa in Sardegna: ‘Lottiamo per il lavoro’”.
In taglio basso: “L’ultimatum di Saccomanni, l’ira del Pdl”, “Il ministro minaccia le dimissioni: l’Italia deve sapere. La destra lo attacca, Letta lo difende. Bonanni a L’Unità: basta con i litigi, il governo ascolti i sindacati”.
Germania
L’Unità intervista il filosofo della politica e germanista Angelo Bolaffi. Parafrasando il titolo di un suo recente libro, “Cuore tedesco”, Umberto De Giovannangeli gli chiede dove abbia battuto il cuore elettorale della Germania. Bolaffi: “Ha battuto su una idea di stabilità democratica, di europeismo convinto ma non utopistico, e ha premiato una leadership, quella di Angela Merkel, che ha governato un momento difficilissimo della vita europea, segnato dalla crisi dell’euro, una crisi che a un certo punto ha rischiato di far crollare l’edificio europeo”. Quanto ha pesato il profilo personale di Angela Merkel? “Nella società mediatica, il profilo del leader è fondamentale. Nel caso della Merkel, lei ha utilizzato un linguaggio rassicurante e comprensibile. E’ noto un famoso esempio di quando le fu posta una domanda sulla crisi dell’euro. Rispose che questa crisi dipendeva dalle politiche sbagliate di alcuni Paesi che avevano un debito eccessivo. Anche una casalinga di una regione del Sud della Germania, aveva sottolineato la cancelliera, sa che non si può spendere più di quanto si guadagna”. E il leader della Spd che la sfidava, Peer Steinbruch? “E’ stato un ottimo ministro delle finanze nella precedente ‘Grosse Koalition’, ma da leader di partito non si è rivelato all’altezza. Ha mostrato un’alterigia molto ‘amburghese’, che lo ha reso distante da tantissimi cittadini ‘normali’ tedeschi. In più, c’è da dire che Steinbruch non è riuscito a parlare e a convincere l’elettorato centrista, nonostante la sua biografi apolitica e il suo trascorso da ministro non lo indicassero certo come un pericoloso estremista. Questa non vittoria della Spd è tanto più grave se rapportata ad una situazione in cui tutti riconoscevano e riconoscono, compresa la Merkel, che in Germani, oltre che in Europa, esiste una grave questione di giustizia sociale. Ma evidentemente la Spd non ha saputo intercettare questa domanda di giustizia sociale”. E ora? Bolaffi parla mentre ancora non sono noti i risultati definitivi, ma fa questa considerazione sulla probabilità di una nuova Grosse koalition: la differenza sostanziale, rispetto a quella precedente, è che allora i due partiti, Cdu/Csu e Spd erano “grosso modo alla pari”. Oggi, invece, “a dare le carte sarà comunque Angela Merkel, la quale, tutto sommato, potrebbe anche minacciare” di allearsi, per esempio, con i Verdi, mentre la Spd “non potrà usare la carta di una possibile alleanza rosso-verde, per fare pesare le proprie richieste”.
Tonia Mastrobuoni su La Stampa, scrive nella sua corrispondenza da Berlino: “E’ un trionfo, e non tanto per il partito, quanto per Angela Merkel. La cancelliera, che parla di un ‘super risultato’, sfiora il primato di Adenauer, che nel 1957 conquistò la maggioranza assoluta dei seggi con il famoso slogan elettorale ‘non vogliamo sorprese’. Impostando una campagna per la conquista del terzo mandato molto simile, ripetendo spesso ‘sapete che sono’ e ‘abbiamo avuto quattro buoni anni’, Merkel ha restituito al partito cristiano democratico il titolo di ‘Volkspartei’, di partito del popolo, che aveva perso da vent’anni”. Ma il paradosso è che lo ha fatto “annacquandone l’identità, e guidandolo, secondo i detrattori, senza visione. E trasformando soprattutto l’ultimo tratto di campagna elettorale in un palese plebiscito su di sé. La Cdu-Csu torna Volkspartei in controtendenza, tra parentesi, con il trend imperante nel resto dell’Europa, dove molti partiti popolari sono in crisi a causa di una forte polarizzazione dei voti”.
Paolo Lepri, sul Corriere della Sera, scrive: “In uno scenario dominato da tempo dalla crisi dei grandi partiti, alla Cancelliera è riuscito il miracolo di rivitalizzare una forza politica come la Cdu che nel passato ha dato segni di stanchezza, riducendo il tasso di ideologia e aprendo alle proposte degli altri. Non è solo una personale capacità di mediazione quella che ha permesso ad Angela Merkel di occupare con fermezza il centro e il centro-sinistra dello schieramento, ma la comprensione del bisogno di continuità positiva che naima le democrazie. La sua sfida vincente è stata anche quella di attirare consensi anche fuori dalla appartenenza storica ad uno o ad un altro campo”. E facendo questo, la Merkel ha anche “svuotato” il bacino elettorale dei suoi alleati di governo, i liberali dell’Fdp.
Andrea Tarquini, su La Repubblica, sottolinea che la cancelliera ha spostato la Cdu a sinistra su ambiente e migranti, istruzione, coppie di fatto e gay. Ed ha vinto con messaggi europeisti, sparando a zero sugli euroscettici, definiti “pericolo per tutti”.
Gian Enrico Rusconi su La Stampa invita a non sottovalutare il partito Alternativa per la Germania (fermatosi al 4,7 per cento, ndr.), che ha comunque fatto “un botto clamoroso”. E, sottolinea Rusconi, “non è una piccola formazione come le altre. Non è un generico gruppo di protesta antieuropeista, un partito ‘populista’- come scrivono i giornali. E’ un piccolo gruppo di persone qualificate che fa un discorso radicale ragionato (giusto o sbagliato che sia) contro il frasario politicamente corretto sull’Europa e la sua moneta. Ha di mira la liquidazione dell’euro ovvero l’espulsione dalla sua area dei Paesi membri dell’Ue che non sono in grado di sostenere e mantenere le regole definite. Una riaffermazione piena dell’autonomia e sovranità della Germania. Sono parole che suonano gradite ad ambienti istituzionalmente qualificati in Germania, in ambienti vicini alla Bundesbank e alla Corte federale”. Quanto ai socialdemocratici, in caso di Grosse koalition esigeranno soprattutto misure interne di maggiore equità sociale e, sul piano europeo,un atteggiamento più disponibile verso le iniziative della Bce, “ma non ci sarà nessuno scostamento dalla sostanza della strategia politica, economica e finanziaria condotta sinora” dalla cancelliera Merkel.
Su La Stampa, da segnalare anche un’intervista a Mario Monti: “La cancelliera è riuscita a dare un messaggio di stabilità e coerenza: per questo la amano”, dice Monti, secondo cui il “patto di coalizione” dovrebbe esser un modello anche per l’Italia. “Addio alle speranze di cambiamento, Bruxelles si congratula a denti stretti”, si legge in una corrispondenza sulla stessa pagina: “ma c’è chi pensa positivo: la Cancelliera ormai blindata sarà più accomodante”.
Su Il Giornale, parlando di “dittatura dell’Europa”, Claudio Borghi aquilini scrive che, riconquistando Berlino, la Merkel “blinda l’euro rigore” e l’Italia “dovrà scegliere se continuare a tirare la cinghia”.
Il Corriere intervista Marcel Fratzscher, docente di economia e consulente del governo Merkel. Dice che “dalle urne esce un messaggio positivo” perché “vincono i favorevoli alla moneta unica”. Alle pagine seguenti Massimo Nava scrive che “la sinistra finisce minoranza nel Paese”: la base sociale dei progressisti si è dissolta e i ceti più poveri sono in fuga. Malgrado una lieve ripresa rispetto alle elezioni del 2009, i socialdemocratici si trovano a fronteggiare “lo strapotere” della Merkel. La Linke, il partito degli ex comunisti, pur avendo perduto oltre il 3 per cento, resta radicata nel lander orientali e può vantarsi, come ha fatto il leader storico Gisy, di esser diventato il terzo partito al Bundestag (8,6) , avendo di poco superato i Verdi (8,4%)
Italia
“Saccomanni ha la mia piena fiducia, insieme e d’intesa con il capo dello Stato, siamo impegnati a definire quella legge di stabilità che è fondamentale per impostare una politica economica necessaria al futuro del Paese”: queste parole, pronunciate dal presidente del consiglio Letta e riferite dal Corriere, sono la risposta al colloqui che lo stesso ministro dell’Economia Saccomanni ha avuto ieri con il direttore di questo quotidiano. Il ministro ha ventilato le proprie dimissioni a causa delle pressioni subite dai partiti sulla gestione dei conti pubblici. E Letta, scrive il Corriere, “tiene a far sapere che il ministro dell’Economia ha la più totale copertura” da parte del premier. Guglielmo Epifani ha espresso solidarietà da parte del Pd: “Ha la nostra fiducia. L’unica cosa che gli chiedo di non fare è Robin Hood al contrario: togliere ai poveri per dare ai più ricchi”, perché “in una crisi le scelte dio rigore hanno bisogno di grande equità e di grande giustizia sociale”.
Alessandro Sallusti, su Il Giornale, in riferimento alla minaccia di dimissioni da parte di Saccomanni, scrive: “poco male”, visto che questo ex alto papavero di Bankitalia non ha certo brillato in quanto a capacità di proporre soluzione decisive per raddrizzare i conti. “Ma più che un preannuncio di dimissioni”, si tratta di un “ricatto. E’ inutile cercare i soldi per non alzare l’Iva -ha infatti detto- se i partiti hanno voglia di andare presto a votare. Traduco: italiani, o vi tenete il mio governo e noi forse non vi tartassiamo più di quanto già abbiamo fatto, oppure si va a votare ma con annessa nuova stangata”.
Su La Stampa: “Lo sguardo al voto dietro gli attacchi alle scelte del Tesoro”. E le parole di Letta: “Basta anteporre gli interessi personali”, “Il presidente del Consiglio difende il ministro: piena sintonia. ‘Ci sono i margini per soluzioni di politica economica’”.
E poi
Su La Stampa si dà conto degli ultimi sviluppi della strage in Kenya e del blitz (ancora in corso) per liberare gli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi jihadisti: nel commando c’è anche la moglie di un kamikaze degli attentati di Londra del 2005. Si chiama Samantha Lewthwaite ed è nata in Inghilterra, dove si è convertita all’Islam all’età di 18 anni. La chiamano “la vedova bianca”, è la terrorista più ricercata al mondo ed ha 29 anni.
L’inviato de La Repubblica Vincenzo Nigro scrive che ci sarebbero tre jihadisti con passaporto americano fra i terroristi che hanno assaltato il centro commerciale di Nairobi. Siamo di fronte ad una vera e propria internazionale del terrorismo allevata e addestrata in Somalia per colpire in Kenya. Il gruppo sarebbe compost di 15 militanti del gruppo islamista somalo Al Shabab, affiliato ad Al Qaeda.
Guido Olimpio sul Corriere ricorda che dagli anni 70 il Kenya ha rapporti di collaborazione, anche militare, con Israele. e quando il Kenya, nel 2011, ha mobilitato l’esercito per colpire gli Shebab in Somalia, al suo fianco c’erano, come accade anche oggi, esperti israeliani e americani. L’offensiva indebolì il movimento qaedista, ma non lo ha sconfitto. I terroristi hanno riportato il conflitto nell’arena keniota e il centro commerciale cui hanno dato l’assalto, il Westgate, è diventato un doppio obiettivo per i terroristi: è simbolo di vita da distruggere, ma è anche un complesso che ospita locali di proprietà di israeliani.
Sul Corriere della Sera segnaliamo anche, sulla strage avvenuta in Pakistan sul sagrato di una chiesa cristiana di Peshawar (sarebbero oltre 78 i morti), una intervista ad un giornalista ed attivista cristiano, Shamim Mehmood Mosih: “Un disastro annunciato, questo Paese ci odia”. Racconta che a marzo, a Lahore, 200 case e negozi di cristiani sono stati bruciati da migliaia di musulmani per un supposto caso di blasfemia.
La rivendicazione dell’attentato kamikaze, scrive La Stampa, porta la firma del gruppo armato di Jundallah, legato al Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp), il trust che raggruppa 28 sigle terroristiche di matrice talebana e vicine ad Al Qaeda. Il portavoce di Jundallah, Ahmed Marwat, ha dichiarato: “Fino a quando i raid dei droni non saranno fermati, continueremo a colpire bersagli non musulmani”.